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L’INEDITO pubblicato ieri sul Quotidiano da Roberto Losso a proposito di uno scambio di lettere tra Pier Paolo Pasolini e il medico Pasquale Nicolini di Paola è stato per me un tuffo nel passato. La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo il servizio, forse la più banale, è che dal «paese dei banditi», cioè Cutro, non si passa più. Bisogna andarci apposta. Il centro è stato tagliato fuori persino dalla defluenza della famigerata 106. Tuttavia, anche ora, è facile e gradevole andare a Cutro. Almeno per due motivi. Per assaggiare il famoso pane casareccio cotto nel forno a legna e per assistere alla partita a scacchi viventi in stile medievale. Ma al tempo del viaggio di Pasolini, “La lunga striscia di sabbia”, chi andava a Crotone provenendo da Catanzaro non passava da Isola Capo Rizzuto, l’attuale tracciato, ma doveva fare la vecchia linea della 106 con i tornanti che portavano al paese. Percorso tuttora valido per chi viene dall’interno. Salendo per Cutro si svelava quel paesaggio formato da calanchi che rappresentavano, e rappresentano, l’anticamera del Marchesato.  Colori forti.

Un’immagine che è apparsa a Pasolini. Che, da viaggiatore/narratore, ha fissato nella memoria alcuni frammenti che non hanno necessariamente bisogno di una cronologica consequenzialità. Non bisognerebbe mai chiedere la pedissequa preposizione dei dettagli, ma sarebbe più agevole penetrare nelle cose selezionate e descritte, in quel caso, dall’autore Pasolini. Nella vicenda del carteggio sembra esserci una bella gara di apparente permalosità tra Pasolini e Nicolini, che, però, non deve sorprendere o menare scandalo. Anzi. L’inedito sembra offre l’occasione per approfondire gli argomenti e, soprattutto nella fattispecie, gli stati d’animo di coloro che in quell’occasione si sono confrontati con sincerità. Il pudore di Nicolini nel tenere riservata la lettera. Il trasporto di Pasolini nel non lasciare cadere le osservazioni. 

A proposito di viaggi nelle periferie poco frequentate mi vengono in mente i bellissimi reportage di Paolo Rumiz che, proprio perché belli, lasciavano e lasciano sempre qualcosa in sospeso. Quasi che l’autore desse deliberatamente al lettore il compito si colmarle o completarle con proprie considerazioni. Anni fa il giornalista di Repubblica fece un viaggio in Italia con una Fiat 500 C, il cui nome era, e forse lo è ancora, “Nerina”. Rumiz dedicò quattro o cinque puntate alla Calabria, raccontandola in controluce, sovente all’alba o nel crepuscolo, come solo lui poteva fare. Anche lì c’erano sensazioni da riempire, ma era la traccia quella contava. E così il carteggio pubblicato domenica dal Quotidiano può offrire l’occasione per rileggere le riflessioni di Pasolini che interloquisce con un cittadino fornito di una forte sensibilità civica e culturale. E in tutta questa storia la cosa più bella è che Pasolini risponde al suo critico, quasi a trasformare l’apparente permalosità in concreta passione civile. D’altra parte la grandezza di Pasolini è stata scoperta dal grande pubblico strada facendo, soprattutto da chi aveva su di lui pregiudizi e poca familiarità con la sua letteratura. Come non ricordare che Pasolini a Valle Giulia, durante il ’68, fu con i poliziotti e non con gli occupanti. Ricordo un passo di quel famoso scritto: «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità. La madre incallita come un facchino, o tenera, per qualche malattia, come un uccellino; i tanti fratelli, la casupola tra gli orti con la salvia rossa (in terreni  altrui, lottizzati); i bassi sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi caseggiati popolari, ecc. ecc. E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che puzza di rancio fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, e lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in una esclusione che non ha uguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare). Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care. Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia». 

In fondo, per Pasolini, i “banditi” di Cutro erano come i poliziotti di Valle Giulia. 

 

 

 

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