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CATANZARO – Gli incarichi di vertice delle aziende pubbliche italiane sono prevalentemente a declinazione maschile e questo è un dato risaputo da tempo, tanto che che neppure gli interventi legislativi in materia sono, al momento, riusciti ad invertire la tendenza, ma se l’Italia non brilla la situazione in Calabria è fortemente opaca anzi evidentemente negativa con un dato abbondamente sotto la media nazionale. 

Secondo il monitoraggio del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri in collaborazione con la società Cerved Group Spa in Italia ci sono 1.795 top manager donne che si trovano negli organi di amministrazione e controllo delle 4 mila società non quotate in cui uno o più enti delle pubbliche amministrazioni detengono una partecipazione superiore al 50%, sei ossia il 14,7% poco meno che una su sei. E la situazione in Calabria è molto peggiore del resto d’Italia visto che la percentuale scende all’11,7% e che secondo la Fondazione Bellisario, presieduta da Lella Golfo, sono già state accertate almeno 94 violazioni (nel Lazio sono 385) della legge Golfo-Mosca, di cui la presidente della Bellisario è una delle proponenti, che impone il raggiungimento di una quota nettamente superiore.

Nello specifico, secondo la normativa vigente è necessario che ci sia per il primo mandato, una quota riservata al genere meno rappresentato pari ad almeno un quinto (20%) del numero dei componenti del cda. Non solo. La legge prevede un aumento progressivo della presenza femminile nel top mangement pubblico e impone che la nomina degli organi di amministrazione e di controllo se collegiale, sia effettuata secondo modalità tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei componenti (33% circa) di ciascun organo.

Andando ad analizzare poi il dato su base nazionale si registra una forbice territoriale molto accentuata: in testa alla classifica c’è il Nord con una maggior presenza sia assoluta che percentuale di donne nelle società: in termini numerici infatti su un totale di 1.795 donne ai vertici, ben 1.020 si trovano in società del Nord Italia. Al Centro ci sono invece 428 amministratici, mentre in tutto il Sud e Isole sono solo 347. 

Ma se i dati in termini assoluti fanno emergere differenze notevoli, questi numeri ovviamente vanno inseriti nei rispettivi contesti e rapportati al numero di società ed enti pubblici attivi nelle varie arie e in questo caso le differenze si fanno meno evidenti visto che la media di presenza femminile al Nord è di 15,3%, al Centro di 14,9%, al Sud e Isole del 12,7%. 

Se poi si scende ancor più nel dettaglio differenziando il dato per regioni si evidenziano esempi di buona applicazione delle norme al Nord e al Centro. Al top ci sono Liguria con il 17,9% di amministratrici, Emilia Romagna 17% e Toscana 16,9%, mentre situazioni particolarmente critiche si registrano al Sud soprattutto in Sicilia e Calabria, con percentuali abbondantemente sotto la media nazionale, rispettivamente 10,5% e 11,7%. E le cose non cambiano per gli organi di controllo delle società pubbliche, con 700 sindaci effettivi donne e 613 supplenti al Nord, contro i 308 e 257 del Centro e i 246 e 191 di Sud e Isole. 

Un caso simbolo, la presidente della Fondazione Bellissario, Lella Golfo, lo porta proprio con riferimento alla Calabria: «La società dell’aeroporto di Lamezia Terme – spiega la Golfo – scaduto il consiglio di amministrazione lo ha rinnovato senza rispettare la legge, e noi abbiamo segnalato la vicenda. Come è avvenuto d’altronde in tantissimi altri casi. La procedura è semplice, noi scriviamo al presidente del consiglio e al dipartimento delle pari opportunità segnalando il caso. Subito dopo parte la lettera alla società che ha l’obbligo adeguarsi entro 60 giorni, pena la decadenza del cda».

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