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CATANZARO – Almeno duecento villaggi medievali abbandonati. Mileto medievale, i cui scavi dovrebbero finire entro ottobre, e che nei giorni scorsi è stata teatro di una intimidazione alla ditta che esegue i lavori (LEGGI), è solo il primo sito tra i tanti che si sta faticosamente riportando alla luce. Ma questi luoghi pieni di storia e civiltà dimenticate sono numerosissimi. L’ archeologia medievale, e il lungo medioevo della Calabria, potrebbero innescare circuiti di nuova economia culturale in regione. Da Cerenzia a Cirella, da Brancaleone vecchia a Rocca Angitola, ad Amendolea. Solo per dirne qualcuno.

“Oltre alla nostra straordinaria Magna Grecia – a parlare è l’archeologo Francesco Cuteri – a ciò che già esiste ed è minacciato da problemi di ogni sorta, si aggiungono frontiere ancora quasi del tutto inesplorate. Le cosiddette “città morte” come definite dalla studiosa Emilia Zinzi – che fece un vero e proprio censimento di queste aree”. Oltre duecento scoperte su cui puntare, in Calabria, dunque, e che potrebbero creare dei tracciati collegati, spiega l’archeologo Cuteri. “Da Laos della Magna Grecia a Cirella vecchia medievale, da Ipponion greca a Rocca Angitola o Briatico, da Gioia a Oppido, da Locri a Brancaleone vecchia, e altri siti interessantissimi – dice – come Cerenzia nel cosentino o Amendolea nel reggino”.

Ma se l’archeologia medievale è una particolarità calabrese al momento tutta da scoprire, che potrebbe creare circuiti di investimenti e di nuovo turismo culturale, sono ancora troppe le ombre che avvolgono la Magna Grecia calabrese. Parchi archeologici, come quello dell’antica Laos, sconosciuti ai più eppure “impossibili da visitare, ci sono lavori in corso”. Campagne di scavi “intermezzate” da auto bruciate e intimidazioni, come a Mileto qualche giorno fa. L’antica Kaulon danneggiata dal mare (LEGGI). Sibari colpita dall’esondazione del Crati. Cemento armato su Capo Colonna (LEGGI). E’ tutta cronaca recente. Eppure la Calabria è archeologia. Dovrebbe fare di questa risorsa il volano del suo turismo. Archeologia vuol dire scoprire, ritrovare, portare alla Coperta. A calabresi e visitatori.

”Sull’esistente, sull’immensa ricchezza del patrimonio archeologico in Calabria, i problemi rimangono diversi – continua l’archeologo Cuteri – c’è una frammentazione che non si riesce a mettere a sistema”. Si dice sempre che il turismo culturale è l’asso nella manica della regione. Ma quest’asso non viene ancora giocato. “Il lavoro dell’archeologo, con una vocazione così spiccata come quella calabrese, non dovrebbe restare sempre a progetto – dice lo studioso Cuteri – ma andrebbe strutturato. Ci sono in Calabria tante realtà archeologiche positive e consolidate ma anche problemi di vario tipo. Servono investimenti. I fondi ministeriali sono sempre di meno, ma con quelli europei occorrerebbe programmare a sistema. Con le ultime leggi nazionali, stanno aumentando i direttori di musei e diminuendo i funzionari delle Soprintendenze. E i controlli per la tutela chi li fa? E la ricerca?”.

L’archeologia, per cominciare, è fragile perché minacciata dalla natura, come è accaduto recentemente con il disastro di Sibari e i problemi al sito si Monasterace marina. Capo Colonna, nello strato di argilla sottostante la roccia, è ad altissimo rischio di erosione. Tra gli altri aspetti, “Ci sono problemi di gestione, di fruibilità, di immagine che si riesce a dare – continua ancora Cuteri – fruibilità significa investire su visite guidate, personale di custodia, creare punti di ristoro vicini ai parchi archeologici, migliorare le vie e i trasporti”. Creare sistema, insomma.

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