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Un momento della commemorazione

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LAMEZIA TERME– “Rivolgo un appello a tutti coloro i quali possiedono documenti e altri elementi affinchè mi possa impegnare per far riaprire le indagini, anche attraverso una commissione d’inchiesta apposita”. Il deputato del Movimento 5 Stelle, Giuseppe D’Ippolito”, ha annunciato il suo impegno a far riaprire le indagini sul duplice delitto dei due netturbini Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte, di cui oggi si è svolta la commemorazione a 28 anni dalla loro uccisione avvenuta all’alba del 24 maggio 1991.

Un caso ancora irrisolto e così anche oggi i familiari dei due lavoratori hanno chiesto “verità e giustizia” così come scritto in uno striscione che campeggiava sul luogo del duplice delitto (al quartiere Miraglia, oggi piazza mons. Caputo). La commemorazione è iniziata con una messa alla chiesta di Santa Lucia, poi con la deposizione di una corona di fiori davanti al sede dell’ ex palazzo municipale di corso Numistrano e poi con la deposizione di una corona di alloro sul luogo della tragedia dove è posta una lapide a ricordo.

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Sono seguiti gli interventi del commissario straordinario del Comune di Lamezia, Francesco Alecci, del testimone di giustizia Rocco Mangiardi esponente di Libera e di alcuni studenti. Presenti, oltre alle forze dell’ordine, gli ex sindaci Paolo Mascaro e Gianni Speranza, una delegazione del Pd e del Movimento Territorio e Lavoro, l’associazione antiracket. Prima della deposizione della corona, l’attore e regista Francesco Pileggi ha interpretato l’ultimo dialogo immaginario delle due vittime prima di essere uccisi quella maledetta alba del 24 maggio quando una raffica di proiettili 7.62 esplosi con un mitragliatore uccisero Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte freddati all’interno del camion della raccolta dei rifiuti, mentre un terzo lavoratore, Eugenio Bonaddio, riuscì miracolosamente a scampare all’agguato.

Da qui scaturì una lunga raffica di udienze, di ipotesi e verità, testimonianze e dietrofront, che si sono alternati nel processo. Un processo che, dopo anni di attese, non sfociò in una sentenza di condanna, ossia quella sentenza che i familiari delle due vittime attendevano come un verdetto di dovuta giustizia per dare un “perché” a quell’efferato omicidio e per sopire in parte quella rabbia per un evento criminoso così insensato ed ingiusto.

Il finale del processo fu un’assoluzione «per non aver commesso il fatto» nei confronti dell’unico imputato, Agostino Isabella (poi morto per cause naturali) che uscì indenne anche al processo d’appello dopo che inspiegabilmente l’accusa (rappresenta dal pm Luciano D’Agostino, un magistrato “chiacchierato” tant’è che più volte è finito sotto inchiesta) presentò in ritardo il ricorso che in appello fu dichiarato inammissibile (giugno 1993).Nel dicembre del 1992, il super pentito Antonio Fiorentino aveva dichiarato che l’imputato del processo, Agostino Isabella, gli avrebbe confidato di aver commesso il delitto che doveva avvenire in un altro luogo, in quanto era associato a tre-quattro persone intenzionate a gestire il servizio di nettezza urbana del Comune di Lamezia, ma non disse di quali persone si trattava.

Il superpentito raccontò che era intenzione degli “amici” di Isabella «di mettere nelle condizioni di non nuocere l’unico testimone oculare del duplice delitto- l’autista del camion, Eugenio Bonaddio- se non avesse ritrattato la sua deposizione, minacciandolo del sequestro di un parente o della sua uccisione». Nel processo fu sottolineato il legame tra quel fatto di sangue e i pubblici appalti. Il pm, nella sua requisitoria, aveva sostenuto che quel duplice omicidio era da inquadrarsi nel settore degli appalti pubblici affidati «in modo arbitrario ed illegittimo ad una ditta da parte del Comune, escludendo altre ditte».

Il movente era dunque riconducibile a una «feroce guerra degli appalti a Lamezia disposti dal Comune per miliardi». Indagando sul movente dell’omicidio, gli inquirenti avevano anche svolto accertamenti sull’affidamento, da parte del Comune, del servizio di raccolta rifiuti ad una ditta, dopo che alcuni mezzi comunali erano stati sabotati e quindi resi inutilizzabili. Le indagini accertarono che i lavori furono assegnati nel settembre del 1990 a trattativa privata e quindi senza una gara d’appalto ad una ditta che non aveva i requisiti richiesti per quel compito. L’illecito sarebbe consistito nell’avere affidato a privati il servizio di nettezza urbana pur avendo il Comune di Lamezia i mezzi per provvedervi direttamente.

Una guerra fra cosche che volevano accaparrarsi il servizio di nettezza urbana che, alla fine, costò la fine a due lavoratori innocenti. Tra l’altro emerse che quel 24 maggio di 28 anni fa Pasquale Cristiano non era di turno ma sostituì un collega che era malato.

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