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Marco Marzocca e Stefano Sarcinelli in una scena

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COSENZA – «FAR ridere è la nostra missione. Far ridere e divertire. E quello che ci prefiggiamo. E in questo spettacolo credo di poter dire che ci riusciamo».

Riaprono le porte del teatro Grandinetti di Lamezia Terme per il terzo appuntamento della stagione “Vacantiandu”, organizzata da “I Vacantusi” e domenica alle 21 l’appuntamento sarà con Marco Marzocca, protagonista di “Due botte a settimana”, spettacolo di cui condivide il testo e la regia con Stefano Sarcinelli, quest’ultimo anche sul palco insieme a Leonardo Fiaschi. La storia si svolge all’interno dello studio del produttore Stefano Toro (Stefano Sarcinelli), figlio del notaio Raimondo (Marco Marzocca). Nello studio si avvicenderanno tanti personaggi interpretati sia da Marzocca che da Leonardo Fiaschi. Il risultato è uno spettacolo molto divertente, con un ritmo incalzante e continui colpi di scena che riveleranno, nel secondo atto, il cuore del racconto: il complesso rapporto tra il padre notaio e il figlio Stefano.

Marzocca lo presenta così: «E’ uno spettacolo divertente nel quale anche noi ci divertiamo molto. Era in tournèe due anni fa, poi è esploso il Covid e adesso, come dico sempre, navighiamo a vista».

E nel quale interpreta più personaggi.

«E’ un grande lavoro fisico, sì. Un’ora e 45 minuti di cambi frenetici».

Messa così sembra molto faticoso per lei e molto divertente per il pubblico.

«La recitazione è la parte più bella del mio lavoro, soprattutto quando si recita davanti al pubblico. Prima della pandemia forse lo davamo un po’ per scontato, adesso riscoprire il contatto col pubblico è meraviglioso. Col Covid abbiamo avuto una tale bulimia di immagini tramite smartphone, computer, tablet che adesso c’è una grandissima voglia di riscoprire il contatto faccia a faccia con l’artista, come nei concerti e, appunto, a teatro».

Come ha vissuto questi due anni?

«Diciamo che mi sono tenuto impegnato. Le scenette di Ariel su Raiplay, ho iniziato a fare il programma radiofonico “Soggetti smarriti” su Rai Radio Due. E poi quello che hanno fatto tutti: studiare, ideare, progettare».

Questo l’artista. Invece l’uomo Marzocca a cosa si è dedicato?

«Ho letto molti libri di psicologia sulla formazione personale, sull’autodisciplina. Mi interessa molto».

Davvero? E come mai?

«Io sono laureato in Farmacia ma la psicologia, a livello amatoriale, l’ho sempre seguita con un certo interesse. Mi sono appassionato sempre di più e continuo a farlo, perchè credo faccia bene a noi stessi. Le faccio un esempio: ragionare sulle parole che usiamo non lo fa nessuno, invece è un’attività che sta alla base di tutto. Le dico pure che sto costruendo un format mio da portare in aziende, in università proprio sulle parole e sul modo che abbiamo di interagire con noi stessi. I nostri stessi pensieri, per dirne un’altra, lo diamo per scontato ma sono formulati da parole che andrebbero scelte con grande attenzione».

Detto da un attore che con con le parole – e non solo con esse – ci lavora.

«Infatti sto preparando uno spettacolo in cui sarò da solo in scena a raccontare la mia vita, che ha un sacco di spunti comici. Uno storytelling, che va molto di moda».

A proposito di moda, è cambiato il modo di far ridere, secondo lei, negli ultimi anni?

«Per lunghissimi anni è andato di moda il cabaret, che però credo ci appartenga poco perchè arriva dal teatro anglossassone. Le nostri radici sono nella commedia dell’arte, degli equivoci, il “Vieni avanti cretino” dei fratelli De Rege è la base per tutto. E’ il meccanismo che ci appartiene di più, che ci diverte e coinvolge la gente. Poi si può sperimentare e a me piace molto sperimentare».

A proposito di ridere, sa che il suo amico Corrado Guzzanti è nel cast di Lol?

«Non mi ha detto nulla, è il mio migliore amico ma non mi ha detto nulla. Ovviamente firmano un patto di riservatezza. Ma lui è un genio: dove lo metti sta».

Ma non lo si vede un po’ poco?

«Ha scelto di dosarsi. Da una parte ha anche ragione, c’è una valanga di personaggi che sta sempre in mezzo…».

Tornando alle parole, non è un periodo in cui se ne sentono un po’ troppe? Lei che rapporto ha con i social?

«Lo dico da farmacista: questa smania che si va su internet e si cerca ogni frescaccia, la eviterei. Non ci si improvvisa dall’oggi al domani, invece diamo per scontato che quello che leggiamo sul web sia verità senza magari prendere in considerazione il medico sotto casa che per essere lì ha dovuto studiare e lavorare duramente per anni. Se devo parlare di come si fa una pizza e lo faccio con uno che ne fa da quarant’anni è una cosa, se ne parlo con un dottore in Agraria, espertissimo di grani e farine, è un’altra. Diciamo che dovremmo tornare a fidarci di più dei professionisti e che, al primo dolore, internet è il posto peggiore dove cercare le cose».

E i social le piacciono?

«All’inizio non avrei mai pensato che sarebbero diventati così fondamentali per chi fa il mio lavoro. Li utilizzo per comunicare la mia comicità, per fare qualcosa cosa che in tv non farei mai. Con Fiaschi abbiamo inventato un format che si chiama Squisit game. E li uso per cazzeggiare, come si dice a Roma».

Sempre a proposito di parole, cosa le piace invece della radio?

«La radio è compagnia. Ed è meravigliosa perchè nonostante la tecnologia lei rimane sempre perchè c’è sempre bisogno di qualcuno che ti racconti una cosa. A me piacciono i programmi di approfondimento, come Rai Stereo notte di una volta. Mi affascina sentire, per esempio, Gino Castaldo che racconta le storie delle canzoni».

Lei è stato tra gli ultimi a collaborare con Gigi Proietti: che ricordo ne ha?

«La sua morte per me è stata una notizia tremenda. Ho avuto il piacere e la gioia di stargli accanto per tre stagioni di “Una pallottola nel cuore” e nel suo programmi “Cavalli di battaglia”. Era un uomo che aveva un intuito per lo spettacolo speciale, sempre con una voglia di dare gioia agli altri incredibile. Anche dopo gli spettacoli, nelle famose cene, non si è mai risparmiato. Ha avuto sempre il desiderio di intrattenere e di comunicare gioia. Ed era un gran signore, che come tutti i grandi della sua generazione, non ti faceva mai sentire il suo enorme peso artistico».

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