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COSENZA – Dopo quelli di Celestino Abbruzzese e Franco Bruzzese (LEGGI), è la volta dei profili di altri due collaboratori di giustizia tra quelli le cui dichiarazioni sono state utilizzate dagli inquirenti per imbastire l’accusa che ha portato nei giorni scorsi a 190 arresti nell’operazione “Reset”, in gran parte ritenuti capi o affiliati alle cosche confederate operanti a Cosenza e hinterland. Ricostruzione investigativa che, appunto, secondo i magistrati della Dda di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri, ha consentito di svelare il “sistema Cosenza”.

Roberto Calabrese Violetta

Secondo il profilo tracciato dagli inquirenti, Calabrese Violetta, che ha iniziato a collaborare con la giustizia nel corso del 2013, ha fornito un contributo informativo importante per via dei suoi trascorsi a partire dai suoi primi contatti (risalenti ad una quindicina di anni prima della scelta di collaborare con la giustizia) con Michele Bruni.

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Da uomo di fiducia di Michele Bruni, per sua ammissione, avrebbe assistito alle vicende che hanno portato alla costituzione del clan da parte di Francesco Bruni, alias “Bella bella”, padre di Michele, e Antonio Sena, considerato uno storico capo della malavita cosentina. Francesco Bruni venne assassinato nel 1999, episodio che avrebbe indebolito il clan e Calabrese Violetta, considerato che seguirono anche altri omicidi e fuoriuscite dalla cosca, decise di allontanarsi per un periodo da Cosenza per poi farvi ritorno anni dopo anche per i legami che avrebbe stretto, tra gli altri, con Francesco Patitucci, che dipinge come un capo assoluto.

Riferisce sul punto il collaboratore di giustizia nelle dichiarazioni verbalizzate nel 2013: “(…) Io, dopo tali omicidi eccellenti, mi sono recato presso la casa di Michele Bruni e gli ho riferito che mi sarei allontanato dal gruppo e da Cosenza, anche perché avevo avuto in precedenza un diverbio con Ettore Lanzino (…) Sono a conoscenza diretta che il Patitucci sia uomo di primissimo piano della cosca Lanzino e posso tranquillamente definirlo il numero uno e non esito a riferire che quando il Lanzino era latitante il Patitucci era proprio il capo della cosca. Non esito ancora a riferire che Patitucci ancora oggi è Patitucci nel senso che “da Patitucci” dovevano passare tutti gli ‘ndranghetisti di Cosenza e provincia (…)”.

La credibilità di Calabrese Violetta, sottolineano i magistrati dell’antimafia, è stata riconosciuta già in alcuni processi o procedimenti in fase cautelare.

Vincenzo De Rose

Inizia la sua collaborazione con la giustizia nel 2017 dopo essere incappato, a suo dire, in un acquisto di droga “sottobanco”, circostanza che, avendo contravvenuto alle regole del “Sistema”, lo ha esposto a minacce anche di morte. Prima di pentirsi avrebbe spacciato droga per conto del clan Rango-Zingari.

Incassata una condanna a otto anni e dieci mesi nel processo “Job center”, De Rose, anche per il timore di pesanti ritorsioni per l’acquisto di droga “sottobanco”, decise di collaborare con la giustizia, riferendo in particolare elementi utili alla ricostruzione della rete dei pusher che si muovevano autonomamente pur rimanendo sotto le regole imposte dal “Sistema”.

La sua attendibilità, per quanto ricordato dagli inquirenti della misura cautelare dell’operazione “Reset”, risulta convalidata in sede giudiziaria, in particolare nella sentenza del Tribunale di Cosenza sull’operazione “Apocalisse”, divenuta irrevocabile nel marzo dello scorso anno.

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