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Affari di famiglia, i Calabria-Tundis, la ‘ndrina di San Lucido avevano esteso la propria influenza su larga parte della costa tirrenica

CATANZARO – La longa manus della ‘ndrina di San Lucido, dei Calabria-Tundis, si estendeva su tutto il territorio che da San Lucido porta ad Amantea. Tutto era sotto il suo controllo ed ogni singolo settore economico era soggetto alle angherie del clan, sotto forma di estorsioni, usura, esercizio abusivo del credito, e varie condotte intimidatorie.

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Questo è quanto hanno appurato gli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che ieri mattina hanno illustrato, nella conferenza stampa tenutasi in Procura, i dettagli dell’operazione denominata “Affari di famiglia”, che ha smantellato le cosche che opprimevano il territorio. Blitz che ha portato ieri mattina gli uomini del Comando provinciale dei carabinieri di Cosenza, con l’ausilio di Squadre operative dei Cacciatori di Calabria e unità cinofile, – con il coordinamento della Procura della Repubblica, Dda – all’esecuzione di un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa dal gip del Tribunale di Catanzaro nei confronti di 37 indagati.

Associazione mafiosa, estorsione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, detenzione e porto illegale di arma comune da sparo, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso, anche aggravati dalle modalità e finalità mafiose, le accuse contestate a vario titolo alle 46 persone in totale iscritte nel registro degli indagati. Indagini, queste, che hanno fatto luce sul modus operandi di due associazioni a delinquere finalizzate al traffico di cocaina, marijuana e hashish, una operante a San Lucido, gestita dalle ‘ndrine e l’altra attiva a Paola.

AFFARI DI FAMIGLIA, IL LEGAME DEI CALABRIA-TUNDIS CON I VERTICI DELLA COSCA COSENTINA

«L’operazione ha interessato un gruppo criminale di tipo ‘ndranghetistico che operava nella zona di San Lucido e che aveva un legame privilegiato con i vertici della cosca cosentina, che legittimavano la presenza criminale di questo gruppo sul territorio di San Lucido e sulla costa tirrenica cosentina».

Ha specificato il procuratore aggiunto di Catanzaro, Vincenzo Capomolla, proseguendo: «Due associazioni che operano nel traffico delle sostanze stupefacenti, una a San Lucido gestita dalle ‘ndrine e l’altra attiva a Paola, in stretto contatto con il primo gruppo criminale, e organizzata mediante una struttura di spacciatori operante per livelli, in una intensa attività di commercializzazione della sostanza stupefacente, e con canali di approvvigionamento anche nell’area di Gioia Tauro».

«Una organizzazione criminale che ha operato sia nell’ambito dell’attività predatoria, cioè le attività di estorsione compiute con condotte e intimidazioni anche gravi, attraverso ordigni esplosivi, incendi alle attività commerciali oltre che le pressioni minacciose e intimidatorie nei confronti delle vittime da parte degli esponenti di vertice dell’organizzazione criminale che operava attraverso attività di esercizio abusivo del credito per comprimere anche le capacità imprenditoriali di determinati soggetti e riuscire a controllare quelle attività. Cosca che si era inserita anche nel mercato della commercializzazione del pesce, del legname e delle automobili. E che trova la sua legittimazione criminale negli esponenti della cosca confederata di Cosenza. E sono stati documentati anche intensi contatti tra il vertice della ‘ndrina di San Lucido con quelli di Cosenza, soprattutto con il boss Francesco Patitucci e con Roberto Porcaro durante la sua reggenza, quando Patitucci era detenuto».

LE ESTORSIONI CHE COLPIVANO TUTTE LE ATTIVITA’

Attività estorsive che non hanno risparmiato nessun tipo di attività commerciali, come sottolineato dal vicario, che ha dato il quadro criminoso preciso nel quale erano sottoposti i commercianti e gli imprenditori della zona, oltre ad aver evidenziato, ancora una volta, come, in fase investigativa, hanno avuto importanza le intercettazioni, i controlli sul territorio oltre che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

«Importante nell’attività di indagine sono state le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, gli esiti delle attività di intercettazione oltre che i controlli sul territorio. Le intercettazioni, estremamente emblematiche e significative – ha sottolineato Capomolla – hanno consentito di ricostruire tutta una serie di condotte intimidatorie ed estorsive perpetrate dall’organizzazione sul territorio con danneggiamenti gravi, perpetrate mediante l’uso di ordigni esplosivi nel tentativo di incendiare attività commerciali. Evidenziato come accanto a queste condotte intimidatorie c’era la pressione forte degli esponenti della cosca ai danni delle vittime e anche degli intermediari utilizzati per veicolare le richieste estorsive, che non hanno risparmiato nessun tipo di attività. Un’attività pressante della cosca che è stata ricostruita con tenacia e non senza difficoltà dagli investigatori, in un contesto territoriale poco collaborativo con le forze di polizia».

E nel mirino della ‘ndrina erano finite, difatti, sia piccole attività commerciali che le imprese operanti nell’esecuzione di lavori pubblici nell’ambito territoriale che va da San Lucido fino al confine con l’area di Amantea.

AFFARI DI FAMIGLIA, I CALABRIA-TUNDIS E L’OMERTA’ DI VITTIME E TESTIMONI

Un’omertà totale, come definita dal comandante della Compagnia di Paola, il capitano Marco Pedullà, da parte delle stesse persone soggette al racket, dalle vittime e dai testimoni, e che ha invitato la cittadinanza calabrese a segnalare ogni criticità perché le stazioni dei carabinieri sono presenti sul territorio, pronte ad ascoltare i cittadini. Mentre il comandate del Reparto operativo dei carabinieri del capoluogo Bruzio, colonnello Dario Pini, ha rimarcato come in tempi non sospetti, «i collaboratori parlavano di rapporti stretti tra le cosche tirreniche e quelle cosentine».

Il comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza, il colonnello Agatino Saverio Spoto, ha fornito i numeri messi in campo dall’Arma nel corso del blitz. Impiegati oltre 200 carabinieri del comando provinciale di Cosenza oltre al fondamentale ausilio dei Cacciatori di Calabria e del nucleo cinofili, che, come dichiarato dal colonnello, «hanno fornito una cornice di sicurezza e hanno effettuato numerose perquisizioni che hanno portato al sequestro di diverse armi, alcune elle quali con matricola abrasa, a dimostrazione della pericolosità del sodalizio criminale».

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