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La Compagnia carabinieri di Rende

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RENDE (COSENZA) – TRE chili e seicento grammi di marijuana sepolti ai piedi di una quercia nella campagna rendese. Un ritrovamento datato ottobre 2017 dietro al quale si cela una storia scabrosa di spaccio, furti e tradimenti. Due persone, infatti, sono state arrestate ieri e spedite ai domiciliari su disposizione del giudice delle indagini preliminari. Uno di questi sarebbe il proprietario di quella droga, il ventottenne Marco D’Alessandro, e ad accusarlo è D.D., un giovane di ventidue, suo conoscente, al quale sette mesi fa era stato dato in custodia quello stock di stupefacenti.

All’epoca, il ragazzo nasconde il pacco in una mansarda di sua proprietà, ma poi dedice di operare il colpo gobbo: sistema l’erba in un trolley e la trasferisce ai piedi di quell’albero all’insaputa del legittimo proprietario. Come e perché si determina a informare i carabinieri è presto detto: accortosi della sparizione del carico, D’Alessandro lo avrebbe minacciato e quindi, nel timore di ritorsioni, è arrivata la confessione. D.D. ha coinvolto in questo pasticcio anche il suo amico Mattia Costabile (23 anni), il secondo arrestato del giorno, ovvero il complice che lo avrebbe aiutato a trafugare lo stupefacente.

Un furto rispetto al quale D’Alessandro non si rassegnava, chiedendo più volte a D.D. di poter visionare le telecamere a circuito chiuso del palazzo per poter così individuare il ladro.

Una richiesta estesa ad altri inquilini dello stabile e finanche al capocondomino, ogni volta accampando scuse diverse: ora il furto della propria autovettura subito delle vicinanze, ora il desiderio di individuare gli autori dell’incendio di un negozio limitrofo. Proprio quest’ultimo evento, secondo la Procura, era stato creato ad arte da D’Alessandro per poter accedere alla visione dei filmati, ma tant’è: il gip ha ritenuto che non vi siano indizi schiaccianti in questa direzione. Il suo obiettivo, comunque, era quello di recuperare la droga e per farlo non avrebbe esitato ad affrontare duramente il principale sospettato.

«Mi ha detto di ricordarmi che avevo una famiglia» ha spiegato D.D. ai carabinieri, aggiungendo poi che un altro uomo presente a quella conversazione – anche lui indagato ma non colpito da misure cautelari – gli avrebbe mostrato un coltello che portava alla cintola per rafforzare il concetto. Tali circostanze lo avrebbero spinto, dunque, a rendere una piena confessione. Subito dopo il ritrovamento della droga, il ventiduenne D.D. è finito ai domiciliari; ora la misura è stata estesa anche agli altri due giovani. Si tratta di soggetti per lo più incensurati, ma nella sua ordinanza il giudice esorta a «non banalizzarne la condotta», ritenendo che l’attività delinquenziale che li riguarda sia inserita «in un contesto collegato a più alti livelli di criminalità». 

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