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Il tribunale di Cosenza

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COSENZA – Un gettone da cinquecento euro val bene un caffè, ma per soddisfare la sete dei boss ce ne vogliono di più. È uno dei particolari che emerge dall’inchiesta, chiusa 48 ore fa dalla Dda, sul tentato omicidio di Giuseppe De Rose consumato nel 2005 e su una serie di estorsioni più recenti ai danni di imprenditori cosentini, tutti episodi che segnano il coinvolgimento di volti noti della criminalità organizzata. Ventidue indagati in tutto, tra cui il boss Francesco Patitucci, anche lui come gli altri destinatario di un avviso di conclusione delle indagini preliminari.

I fatti che lo riguardano risalgono al 2015. In quel periodo, infatti, il reggente del clan Lanzino avrebbe compulsato un imprenditore di Montalto, titolare di una ditta che si occupa di lavorazione del ferro, imponendogli una tangente compresa tra cinque e settecento euro da versare a Natale e Pasqua.

Il sospetto, però, è che a un certo punto il racketeer abbia alzato il tiro, pretendendo dall’imprenditore anche gli arretrati non riscossi nei suoi periodi di detenzione. È proprio in quest’occasione che Patitucci si sarebbe rivolto a lui con il discorso della tazzina. «Non è che ti presenti con cinquecento euro? Che i soldi per il caffè ce li ho» è la frase attribuita al boss, rivolta alla vittima in occasione di un appuntamento per la consegna del denaro e oggi immortalata in un capo d’imputazione.

La vicenda avrà un seguito anche nel 2016 perché a Patitucci, fuori gioco per un arresto, sarebbe subentrato il suo secondo nella scala gerarchica del clan, Mario Piromallo detto “Renato”. A lui, secondo gli inquirenti, sarebbe toccato il compito di riscuotere il pizzo nella fabbrica montaltese insieme a Giuseppe Bartucci, 52enne poco noto alle cronache di mafia e dintorni. In quel caso, per indurre la vittima a conciliare, gli avrebbero rappresentato che ricorrere a vigilantes o installare telecamere di sorveglianza sarebbe stato per lui più oneroso che pagare loro la protezione.

L’inchiesta si focalizza anche su un’altra estorsione, messa a segno nel 2010 ancora dal clan Lanzino in tandem con la cosca Bruni-Abbruzzese, ai danni di un’impresa edile di Rende. Per convincere il costruttore a scucire trenta o quarantamila euro, i criminali avrebbero addirittura lanciato una granata nel cantiere della vittima, ubicato nella zona industriale di contrada Lecco.

Le informazioni del caso sono state acquisite grazie alla collaborazione di Adolfo Foggetti che, presentatosi come bombarolo reo confesso, chiama in causa come mandanti il suo capo dell’epoca, il defunto Michele Bruni, nonché ancora Patitucci e Roberto Porcaro per il clan alleato.

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