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Denis Bergamini

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COSENZA – All’epoca, Donata Bergamini li ribattezza “Gruppo Z”, nulla a che vedere con Putin, semmai con i cavalieri dell’apocalisse: ritiene, infatti, che quei carabinieri siano gli ultimi che indagheranno sulla morte di suo fratello Denis. Correva l’anno 2011, e in seguito la cronaca le darà torto. L’inchiesta sui fatti del 18 novembre 1989 alla quale partecipa anche il suddetto Gruppo sarà archiviata, ma di lì a poco la palla passerà ad altri investigatori che chiederanno (e otterranno) il rinvio a giudizio di Isabella Internò per l’omicidio volontario dell’allora calciatore del Cosenza. Un delitto che si ritiene maturato per motivi passionali – «l’onore» – nell’alveo della famiglia della ragazza, ex fidanzata della vittima, che a ben vedere era proprio la tesi portata avanti dal cosiddetto “Gruppo Z”.

Anche per questo, stamane sulla scena del processo si è consumata la piccola rivincita di quei carabinieri. Due di loro, il luogotenente Roberto Redavid e il maresciallo Fabio Lupo, sono stati convocati per ripercorrere l’informativa da loro redatta nel 2012, ai tempi in cui agivano su delega del procuratore Franco Giacomantonio.

Il pubblico ministero d’udienza li ha impegnati a ripercorrere un po’ tutti gli accertamenti da loro svolti, ed è venuto fuori come i temi trattati fossero quelli poi ripresi in toto dai loro successori: la gelosia di Isabella, l’aborto della ragazza come spartiacque del rapporto sentimentale fra lei e il calciatore, l’assenza di ragioni valide per cui quest’ultimo potesse togliersi la vita, l’esclusione di piste alternative quali la droga, il calcioscommesse, il crimine organizzato. Va da sé che tra i compiti a loro demandati vi fosse la ricerca di nuove prove, alcune attività intercettive, l’acquisizione di documenti e testimonianze, ma non certo una possibile ricostruzione di dinamica e movente del presunto omicidio, circostanza che porterà poi Giacomantonio a contestare loro di essersi «avventurati in valutazioni che esulavano dalle loro prerogative» o di aver «azzardato congetture articolate su ipotesi di verosimiglianza e plausibilità autoreferenziale».

Acqua passata, perché dieci anni dopo le loro tesi hanno trovato cittadinanza in un’aula di tribunale. Il loro esame è stato lungo e articolato, a tratti ridondante, considerato che sugli stessi temi si erano già espressi i loro successori, autori dell’informativa più recente nel 2017, ma tant’è: quello in corso davanti ai giudici della Corte d’assise presieduta da Paola Lucente (con Marco Bilotta a latere) è anche un processo di logoramento oltre che di trincea.

Non è mancato il momento spettacolo, con la richiesta avanzata dalla Procura di ascoltare in aula un’intercettazione ambientale del 2011 fra Isabella e suo marito Luciano Conte, tentativo poi abortito a causa della pessima qualità dell’audio. In conclusione, Lupo e Redavid hanno sgomberato il campo dalle ombre che aleggiavano da anni sul loro trasferimento decretato proprio dopo la consegna dell’informativa. Nessuno ha voluto fermarli, erano in rotta con la loro scala gerarchica per altri motivi, tant’è che in precedenza avevano persino denunciato i propri superiori, gli stessi che nonostante gli animi tesi li avevano poi messi a indagare sul caso Bergamini. Mercoledì, intanto, si torna in aula.

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