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COSENZA – Gianfranco Bruni e Gianfranco Ruà avrebbero confessato di essere, insieme al defunto Demetrio Amendola, unici responsabili del duplice omicidio di Marcello Gigliotti e Francesco Lenti, solo allo scopo di salvare Francesco Patitucci dalla condanna. È quanto afferma il collaboratore di giustizia Roberto Presta, e il verbale con le sue dichiarazioni è un’ombra pesantissima che da ieri aleggia sul processo d’appello che tenta di far luce sulla morte dei due rapinatori “epurati” dal clan Pino nel febbraio del 1986.

Alla sbarra c’è proprio Patitucci, destinatario in primo grado di una condanna all’ergastolo nonostante, a dibattimento in corso, fosse intervenuta l’ammissione doppia degli altri imputati. Bruni e Ruà, infatti, giudicati a parte per questa vicenda e destinati al carcere a vita per altre precedenti condanne, avevano di fatto riscritto la storia della morte di Francesco e Marcello, eliminati dai loro stessi compagni di malefatte perché ritenuti troppo autonomi e, dunque, inaffidabili.

In quell’inverno fatale di trentasei anni fa, dunque, sarebbero stati invitati a una frittoliata a casa di Patitucci, nella campagna rendese, rivelatasi per loro una trappola mortale: furono torturati e uccisi – il povero Lenti venne addirittura decapitato – e i loro corpi scaricati poi sulla montagna di Falconara Albanese. Fin qui il racconto di alcuni pentiti, l’ex boss Franco Pino in primis, sul quale la Dda ha imbastito il proprio teorema d’accusa messo in discussione in corso d’opera da Bruni e Ruà.

A un certo punto, infatti, i due hanno deciso di raccontare le rispettive verità su quanto accaduto in quei giorni, escludendo un coinvolgimento di Patitucci nel delitto. A detta di entrambi, le vittime furono sì attirate in un tranello, ma direttamente nel luogo della loro temporanea sepoltura e senza passare da casa Patitucci, con quest’ultimo che sarebbe stato dunque all’oscuro di tutta la vicenda.

Un anno fa, la Corte d’assise di Cosenza non aveva tenuto in alcun conto le loro dichiarazioni, condannando l’attuale boss, capo dell’omonimo clan, all’ergastolo, e ora al ritorno in aula, la Procura generale ha tirato fuori un asso dalla manica per consolidare quel verdetto di colpevolezza. Presta, infatti, sostiene di aver assistito a un colloquio in cui Patitucci informa i suoi accoliti delle manovre in atto per convincere Bruni e probabilmente Ruà ad attribuirsi la colpa di quel duplice omicidio nella speranza di farla franca.

Il verbale depositato in udienza non è chiarissimo: sette righe in forma riassuntiva contorniate da omissis, e anche per questo è probabile che i giudici optino per sentire Presta in aula. Per ora, si sono riservati una decisione che sarà resa nota alla ripresa dei lavori in aula. All’epoca le confessioni rese da Bruni e Ruà non avevano sortito benefici per l’altro imputato, ma solo per loro stessi.

Non a caso, i trent’anni di reclusione accordati a entrambi in primo grado (il loro processo si celebrava in abbreviato) erano scesi a venti in Appello in virtù della concessione delle attenuanti generiche. Di recente, però, anche quel verdetto è tornato in discussione con l’annullamento disposto dalla Cassazione che ha ordinato la celebrazione di un nuovo Appello.

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