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Il Tribunale di Cosenza

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COSENZA – «Che dio vi aiuti, siete venuti a salvarmi». È con queste parole che a dicembre del 2019, l’ottantaduenne cosentino accoglie i carabinieri, piombati a casa sua per arrestare la badante che da tempo lo sottopone a una serie di vessazioni inaudite. Sembra un lieto fine, ma due anni e mezzo più tardi, la storia ha in serbo un altro epilogo: Maria Vita Gigi, la presunta strega di 52 anni, era in realtà innocente. Lo ha stabilito un processo culminato nell’assoluzione della donna – il fatto non sussiste – e durante il quale i ruoli si sono invertiti: per la parte offesa, infatti, si profila un’incriminazione con l’accusa di calunnia.

Eppure i presupposti di partenza erano molto diversi. Non a caso, sembrava l’ennesima storia di soprusi e vessazioni ai danni di anziani indifesi, attuati da una collaboratrice domestica dominante e senza scrupoli. Del resto, il quadro ipotizzato contro la 52enne era davvero a tinte fosche, riassunto abilmente nella mezza dozzina di imputazioni confezionate per lei: lesioni personali aggravate, sequestro di persona, minaccia continuata, furto aggravato, tentata estorsione e maltrattamenti.

L’attività dei carabinieri aveva avuto inizio circa un mese prima dell’arresto, quando una donna di origini bulgare aveva segnalato di aver appreso che un anziano era tenuto segregato in di un appartamento di viale della Repubblica. Immediatamente, i militari si erano recati presso l’abitazione trovando l’anziano che, alla vista delle divise, si era prodotto poi nel suo triste racconto.

Spiega di quando, a seguito di una caduta, finisce a casa di quella che sarebbe dovuta essere la sua badante, ma che si rivela poi la sua aguzzina: calci, schiaffi e sputi, minacce di morte con un coltello unitamente alla consegna del silenzio, pena il trasferimento in manicomio.

Racconta che è questo il trattamento a lui riservato dalla donna che arriva anche a impossessarsi del suo bancomat sottraendogli migliaia di euro. Diciotto mesi dopo, grazie anche al lavoro svolto in aula dall’avvocato difensore, Nunzia Paese, il dibattimento ha dimostrato tutt’altro.

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