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Giuseppe Cirò e Mario Occhiuto

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COSENZA – Giuseppe Cirò «non è attendibile» quando chiama in correità Mario Occhiuto, accusandolo di aver fatto la cresta sui rimborsi per le missioni istituzionali. E non è credibile perché mosso da «evidente risentimento» nei suoi confronti.

È questa, in sintesi, la motivazione addotta lo scorso 28 gennaio dal giudice Amalia Pingitore per assolvere l’ex sindaco (LEGGI) dalle accuse di truffa, falso e peculato, vicenda giudiziaria nella quale era stato coinvolto due anni prima proprio dal suo segretario, oggi imputato per quei fatti in tandem con una funzionaria del Municipio. A rischiare, però, è stato anche Occhiuto che, dopo essere stato iscritto nel registro degli indagati, ha risolto la partita giudiziaria in abbreviato.

Com’è noto, lo scandalo deflagra a marzo del 2017, quando l’allora primo cittadino licenzia ex abrupto il suo caposegreteria accusandolo di aver intascato quei soldi – circa ottantamila euro – in modo illegittimo e a sua insaputa. Non contento, corre poi a denunciarlo in Procura.

Tempo qualche giorno e Cirò da accusato indossa i panni dell’accusatore: ammette di aver prelevato quel denaro dalle casse comunali, ma afferma di averlo fatto su “mandato generico” del sindaco, per assicurare a lui un’entrata extra che gli consentisse di ottemperare alle spese correnti.

La parola dell’uno contro quella dell’altro, e già questa circostanza – l’assenza di riscontri – è annotato dalla Pingitore come un punto a favore di Occhiuto. A ciò, però, si aggiunge «l’acredine» mostrata da Cirò durante le indagini nei confronti del suo ex datore di lavoro.

Propositi «di vendetta» come quelli esternati durante la conversazione con Nicola Morra, dialogo registrato da quest’ultimo e finito poi agli atti dell’inchiesta: «Se faccio il processo vado a dire pane al pane e vino al vino chi è Mario Occhiuto» diceva Cirò, in quell’occasione, al cospetto del senatore poi presidente della commissione Antimafia, il che si somma ad altre captazioni poco benevolenti dalle quali emerge la sua «volontà di pianificare una strategia tesa a gettare ombre» sull’allora sindaco della città. Una vera e propria «escalation denigratoria» dunque, che ha finito per minare alle fondamenta la sua credibilità.

Non tutte le contestazioni mosse a Occhiuto, però, provenivano solo da Cirò. In alcuni casi, infatti, gli investigatori avevano cerchiato in rosso alcune missioni svolte dal sindaco fra il 2013 e il 2017, in particolare viaggi a Roma per presenziare a riunioni dell’Anci. Ritenevano, quegli investigatori, che anche tali missioni fossero inventate di sana pianta al pari di quelle per le quali il segretario aveva fatto carte false, ma anche in questo caso il gip ha dato una lettura differente.

Non è provato, infatti, che Occhiuto abbia intascato in modo fraudolento quei soldi, giacché la sua mancata presenza al tavolo dell’Associazione nazionale comuni italiani non basta ad affermare che quella missione fosse inventata. In quel dato giorno e in quella data ora, il sindaco avrebbe potuto trovarsi in un ministero, in una conferenza Stato-Regioni o coinvolto in un evento culturale, tutti impegni che rientrano nel novero delle sue funzioni istituzionali.

Da qui, dunque, le ragioni di un’assoluzione abbastanza granitica, avverso la quale la Procura non ha ancora presentato ricorso in Appello. Per farlo, ha tempo fino a domani.

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