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L'ospedale Annunziata di Cosenza

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COSENZA – Possono volerci anni per avere giustizia. Talvolta anche undici, lunghi anni. Ma per chi resta in attesa di una risposta – che col passare del tempo diventa piuttosto una consolazione al proprio dolore – non è mai troppo tardi.

È il caso dei familiari di Giovanna, 48enne cosentina, deceduta ad aprile 2010 nel reparto di Rianimazione dell’ospedale “Annunziata”. Questi i fatti che, purtroppo, somigliano a un copione già letto: la signora arriva in Pronto soccorso alle 13 del giorno prima accompagnata da un’amica e lamentando un intenso dolore cranico, ma viene subito dimessa dopo un controllo dell’otorinolaringoiatra.

“Sinusopatia”, questa la diagnosi formulata dal medico con la quale la donna viene rimandata a casa con tanto di prescrizione di terapia farmacologica domiciliare. A distanza di qualche ora, però, il malessere di Giovanna diventa insopportabile e così, alle 23 circa dello stesso giorno, viene trasportata col 118 nuovamente in Pronto soccorso.

I sintomi si fanno via via più pesanti, l’eloquio diventa confuso, ma le ore passano e alla tac, richiesta intorno a mezzanotte e trenta, viene sottoposta solo alle 4.

 A quel punto il quadro clinico diventa inequivocabile. Alle 5.30 la corsa disperata verso la Rianimazione dove i suoi occhi si chiuderanno per sempre.

Comincia così il lungo calvario giudiziario di sua madre Anna – scomparsa prima ancora di conoscere la verità –, di suo figlio Fabio e dei suoi fratelli Luigi e Massimo, convinti fin da subito che quello della propria congiunta sia a tutti gli effetti un caso di malasanità. Assistiti da un legale, denunciano l’accaduto dando la stura a un processo che ha portato alla sbarra il dottor F. S. e altresì l’Azienda ospedaliera bruzia.

Anni di consulenze tecniche da parte dei periti hanno accertato le gravi omissioni del medico del Pronto soccorso che, con particolare riferimento al primo accesso, non avrebbe condotto una indagine anamnestica adeguata né disposto gli accertamenti necessari a scongiurare il drammatico epilogo della vicenda.

Il 12 agosto scorso il Tribunale di Cosenza in composizione monocratica ha pertanto condannato l’Azienda ospedaliera e il dottor F. S. al risarcimento di oltre 560mila euro nei confronti dei parenti della vittima e al rimborso delle spese processuali.

«È amaro considerare che per l’affermazione di un princìpio di giustizia a favore dei prossimi congiunti della povera Giovanna ci siano voluti ben 10 anni, che non valgono certo a lenire le gravi conseguenze di ogni natura comunque connesse al decorso del tempo – è il commento del legale Francesco Iacovino – A fronte di tanti casi di sostanziale denegata giurisdizione, finalmente siamo al cospetto di un verdetto coraggioso capace da un lato di sottrarsi alle pastoie anche di carattere psicologico che possono limitare l’effettività della tutela processuale, dall’altro di contribuire a migliorare l’approccio dei sanitari del nosocomio cosentino verso i cittadini. Una decisione, quindi, meditata sì ma tanto lucida quanto illuminata». Meglio tardi che mai, verrebbe da dire.

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