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Gianfranco Vommaro

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PAOLA (COSENZA) – «A distanza di nove anni e mezzo dalla evitabile morte di mio fratello Gianfranco, marito e pare di due bambini, io e la mia famiglia registriamo con stupore e rammarico che il processo penale, avviato a suo tempo dalla locale Procura e con il successivo intervento della Procura generale, si è concluso con quattro assoluzioni “perché il fatto non sussiste”. Formula assolutoria piena che cancella in un sol colpo, a livello di responsabilità penale, un evento luttuoso che ha sconvolto un’intera famiglia, lasciando due bimbi senza un padre ed una donna senza un marito». E’ l’amaro sfogo di Salvatore Vommaro, fratello di Gianfranco, deceduto nel 2012 per un presunto caso di malasanità, conclusosi in primo grado, alcuni giorni fa, con quattro assoluzioni.

«Non abbiamo la presunzione di sostituirci all’autorità giudicante – dichiara l’uomo – ma siamo basiti alla luce di quanto avvenuto in questi anni e, soprattutto, rispetto a quanto è stato accertato e letto nelle carte, di facile comprensione anche a chi non mastica di diritto».

Ricorda, infatti, Salvatore Vommaro: «Abbiamo letto Pm, Gip e autorevolissimi Periti della Procura scrivere negli atti di “negligenza, imprudenza e imperizia per aver cagionato la morte di Vommaro”, colpito da “insufficienza cardiorespiratoria acuta da aritmia ventricolare maligna e conseguente edema polmonare acuto in soggetto affetto da displasia aritmogena del ventricolo destro”. Abbiamo letto la seguente tesi, formulata dagli inquirenti e condivisa da un giudice terzo, sulla scorta di perizie della Procura: … “trascurando la presa in carico del paziente Vommaro” (…), “disattendendo gli obblighi di protezione senza pianificare le migliori scelte sulla scorta di una stratificazione del rischio, non predisponendo un percorso documentato al paziente, un coinvolgimento informato, una strategia decisionale in termini di gestione dello stesso, che si è presentata inadeguata discontinua e carente nel percorso diagnostico terapeutico, pur essendo a conoscenza dal 6 ottobre 2010 della anamnesi familiare positiva per morte cardiaca improvvisa» di altri parenti diretti.

E, ancora, è stato scritto: «Accettando il 21 marzo 2011 Vommaro Gianfranco giunto alla loro osservazione per dolore toracico e dimettendolo in data 23 maggio 2011, senza alcuna indicazione per il paziente, nonostante già dal 17 dicembre 2009 quella divisione cardiovascolare fosse a conoscenza della condizione del paziente e della sua anamnesi familiare positiva».

E non è tutto: «…limitandosi il 16 maggio del 2012 all’esecuzione su Vommaro – recatosi presso la struttura non già per un controllo programmato, ma per un’esigenza di verifica clinica a seguito di un episodio di lipotomia avvenuto il 10 marzo – unicamente di un ecocardiogramma e rinviando il paziente ad una successiva visita alla quale si sarebbe dovuto sottoporre il 16.11.2012, dopo oltre sei mesi, senza alcun approfondimento clinico che avrebbe consentito invece in quella sede di valorizzare il citato episodio lipotomico».

Ai quattro medici veniva contestato di avere omesso «di valutare l’insediamento di un defibrillatore cardioverter impiantabile che avrebbe evitato l’evento mortale e che è la terapia standard per la prevenzione della morte improvvisa in pazienti con cardiomiopatia/displasia aritmogena del ventricolo destro». Tutti erano accusati d’aver «cagionato, con cooperazione di condotte colpose, con violazione delle leges artis, la morte di Gianfranco».

«Non abbiamo mai creduto alle contestazioni rivolte ai medici di Belvedere, come confermato anche dai nostri periti – puntualizza Salvatore Vommaro – ma la struttura di Milano avrebbe potuto salvare mio fratello, soprattutto quando, a maggio 2012, ci siamo recati lì per il suo stato di salute precario e compromesso, e loro lo hanno rimandato a casa».

L’esito, dunque, è “tutti assolti con formula piena”: «era tutto uno scherzo?» , s’interroga Vommaro. E aggiunge: «Mio fratello è morto ed in sol colpo sono stati cancellati atti, tesi, riscontri, perizie e due esami tecnici irripetibili». E ancora si chiede: «Come sia accaduto tutto ciò? Come sia possibile che quanto sopra scritto, di una gravità inaudita, riportato negli atti da Pm, Giudici e Periti, sia stato cancellato? Era giusto e necessario impiantare un defibrillatore cardioverter nel petto mio fratello? Questo avrebbe scongiurato la sua morte? Se la tesi condivisa da numerosi autorevoli esponenti del mondo della Giustizia e della Sanità, com’è possibile ora che tutto ciò sia stato cancellato? Da cittadino, da profano della materia, basandomi su ciò che ho letto e vissuto, mi chiedo: è giustizia questa?».

Poi prende atto: «Può essere giusto, magari, dire una cosa aleatoria e poi, dopo un po’, negarla, magari dicendo d’aver capito o visto male. Ma è giusto sconfessare di punto in bianco una tesi scientifica certificata e granitica, riscontrata negli atti e nelle risultanze autoptiche? Che bisogno c’era, allora, se l’esito sarebbe stato questo, fare a pezzi il corpo di mio fratello, aggiungendo dolore al dolore?».

Quindi conclude: «Come si può credere in una giustizia che cambia giudici in corso d’opera, che lascia trascorrere circa dieci anni di indagini sulla morte di un giovane, che impiega ben 18 mesi per avere l’esito di una autopsia, che smarrisce una risonanza magnetica (spuntata fuori, come per incanto, in corso d’opera) e che porta una vicenda di una gravità inaudita sull’orlo della prescrizione? Siamo frastornati e basiti, ma andremo avanti al solo fine di poter dare risposte, un domani, a due bambini sulla morte dell’amato papà, nella consapevolezza che la giustizia divina non potrà essere negata a nessuno».

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