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Lo scontro tra Morra e Cesareo nel programma di Giletti

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PAOLA – L’ex direttore sanitario dell’ospedale spoke Paola-Cetraro, Vincenzo Cesareo, è comparso ieri sera nel salotto di Massimo Giletti, “Non è L’arena”, in onda su LA7, ed è finito stritolato tra le incalzanti accuse di Nicola Morra (presidente della commissione parlamentare antimafia), Luigi De Magistris (ex pm calabrese, sindaco di Napoli e candidato a governatore della Regione Calabria), Pierpaolo Sileri (sottosegretario di Stato al Ministero della salute) e Lino Polimeni (direttore di Articolo 21).

Tema del confronto: malasanità e abusi in era covid, collusioni di “colletti bianchi” con la politica e, spesso, con la ‘ndrangheta, ma anche incapacità della politica e delle istituzioni calabresi di perseguire i responsabili di piccoli e grandi sfasci. Cesareo, a cui Giletti ha dato atto per il coraggioso gesto di metterci la faccia, è comparso all’improvviso e subito è finito nel mirino dei presenti.

Il medico è infatti indagato di peculato e altri reati dalla Procura di Paola ed è stato interdetto dalle funzioni sia per aver praticato tamponi ad “amici e parenti” (Cesareo ha negato le accuse) sia per le sue scorrazzate nel Sud Italia, in presunti giri di piacere, a bordo della Fiat Panda dell’Asp cosentina (lui ha spiegato di aver usato l’auto per ragioni istituzionali, anche se le intercettazioni lo smentiscono).

Ed alla luce di ciò, Cesareo sarebbe stato costretto – è stato riferito in trasmissione – a chiedere il collocamento a riposo sul posto di lavoro (l’interessato, dal canto suo, ha invece puntualizzato che si tratta di una mera scelta personale).

Morra, in particolare, ha ricordato che la Dda considera la famiglia Cesareo storicamente legata alla cosca Muto di Cetraro, anche tramite un diretto parente del dottor Vincenzo.

A quest’ultimo è stato poi ricordato di essersi recato a casa del boss Pelle (“Gambazza”) a Locri, finendo intercettato (intercettazioni in cui Cesareo spiegava di essere “in famiglia”).

Il medico si è difeso, intanto, affermando di non essere mai stato indagato né condannato, e aggiungendo che a Locri è andato ad accompagnare un’ammalata e poi per salutare il vescovo.

Si è poi difeso spiegando che lui non può rispondere di colpe altrui, essendo la responsabilità penale personale (in riferimento al parente considerato intraneo alla cosca di ‘ndrangheta del boss Franco Muto).

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