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Giovanni Spinosa, magistrato, da giudice e pm, durante la sua carriera ha affrontato inchieste delicatissime come quella che portò all’arresto dei componenti della famigerata “banda della Uno bianca” e da presidente del maxiprocesso alla ‘ndrangheta del clan Muto di Cetraro, in provincia di Cosenza. Ha scritto diversi libri e l’ultimo suo lavoro è stato pubblicato pochi giorni fa. Finalmente abbiamo uno strumento per comprendere uno dei peggiori buchi neri della Repubblica. Quello della Falange Armata che ha operato anche in Calabria.

Giudice Spinosa, dal 29 marzo è in libreria il suo nuovo libro, scritto assieme al giornalista Michele Mengoli.

Cos’era la Falange Armata di cui il libro racconta la storia mettendo molti brividi a qualunque cittadino lo legga?
«Una rete eversivo-terroristica di “menti raffinatissime”, composta da 50-60 persone – agenti segreti, forze dell’ordine, malviventi, torbidi affaristi – che viene costituita alla fine del 1985 ed è destinata a tessere le trame più nere della Repubblica per quasi un decennio. Inizia a seminare terrore dall’’87. Prende il nome di Falange Armata nel 1990. Quindi, con omicidi, attentati e stragi, comprese quelle del 1992 e 1993, mina le basi della Prima Repubblica stringendo anche un’alleanza con le cosche mafiose. Sono uomini più fedeli alla loro idea di Stato che a quella sancita dalla Costituzione, che hanno voluto imporre al nostro Paese una deriva in chiave plebiscitaria e personalistica refrattaria ai meccanismi di una democrazia basata sulla centralità dei momenti di partecipazione popolare alla formazione del consenso».

La Calabria è coinvolta nei delitti della Falange Armata in tre occasioni. La prima è l’omicidio del giudice Scopelliti.
«Antonino Scopelliti era il Sostituto Procuratore Generale presso la Cassazione nel maxi-processo istruito da Falcone e Borsellino. Il suo omicidio, avvenuto a Campo Calabro il 9 agosto 1991, potrebbe far pensare a un favore della ‘ndrangheta a Cosa Nostra. In realtà, nella annuale riunione di ‘ndrangheta del settembre ’91 alla Madonna dei Polsi, si parla di guerra allo Stato. La Falange Armata, che di questa guerra ha il copyright, nell’agosto del ’91 è nel pieno della seconda fase, quella dedicata alla ricerca di alleanze con gruppi italiani e stranieri. La narrazione falangista svela come l’omicidio Scopelliti sia stato l’atto di adesione della ‘ndrangheta al progetto eversivo. Infatti, nella rivendicazione del delitto, la Falange Armata ne assume la “paternità politica e morale”, ma non quella “militare”.».

C’è poi l’omicidio dell’ispettore Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano avvenuto in pieno centro a Lamezia il 4 gennaio 1992, in occasione del primo anniversario della strage del Pilastro a Bologna in cui vennero assassinati 3 carabinieri.
«In effetti, in ossequio alla propria cultura evocativa, la Falange Armata ricorda il delitto del Pilastro nelle prime due rivendicazioni intervenute subito dopo l’eccidio dei coniugi Aversa. Ma la rivendicazione veramente importante è quella del 9 gennaio. Per capirne il significato dobbiamo andare alla notte successiva, quella fra il 5 e il 6 gennaio. A Surbo, in provincia di Lecce, una bomba al tritolo, firmata Sacra Corona Unita, ferma, fortunatamente senza vittime, il treno degli emigranti che tornavano al lavoro in Svizzera e Germania dalle vacanze natalizie. Ebbene, il 9 gennaio, la Falange, con un unicum nei suoi moltissimi comunicati, accomuna l’eccidio dei coniugi Aversa e l’attentato di Surbo nella stessa rivendicazione. Cos’hanno in comune i due delitti? Nelle indagini sull’eccidio di Lamezia, dopo alterne vicende processuali, si individuano i due killer; sono malviventi di Taranto venuti ad uccidere in Calabria. Insomma, killer e bombe della Sacra Corona Unita che, incredibilmente e senza alcuna ragione apparente, la Falange Armata accomuna in una unica rivendicazione».

Poi ci sono i tre attentati alle pattuglie dei carabinieri in provincia di Reggio Calabria dal 1° dicembre 1993 al 1° febbraio 1994 in cui, il 18 gennaio 1994, vengono assassinati i carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo.
«Siamo nel momento conclusivo della 4° e ultima fase della Falange Armata. È una vicenda complessa squadernata dall’acume e dalla professionalità di investigatori, pubblici ministeri e giudici che hanno operato negli uffici giudiziari di Reggio Calabria. C’è un aspetto che, più di altri, merita di essere ricordato perché pone l’accento sulla unitarietà degli attentati della Falange Armata, dall’11 aprile 1990, quando a Milano viene assassinato Umberto Mormile, al 1° febbraio 1994, data dell’ultimo degli attentati ai carabinieri a Reggio Calabria. Si tratta della singolare assonanza con le vicende della Uno Bianca».

A proposito di unitarietà, Lei divide le vicende della Falange Armata in quattro fasi; è una sua interpretazione?
«No; è la stessa Falange Armata che, nel comunicato del 27 luglio 1992 con cui rivendica la strage di via D’Amelio, divide la propria attività in varie fasi: la prima, dall’omicidio Mormile all’eccidio dell’armeria a Bologna del 2 maggio 1991, la seconda fino al disarmo del commando falangista che aveva agito in Emilia Romagna avvenuto il 29 agosto 1991, che segna la effettiva fine del periodo terroristico della Uno bianca, la terza, quella della militarizzazione del territorio, che dura fino al 2 febbraio 1993. Quel giorno, un comunicato falangista annuncia la quarta e decisiva fase, che è quella dell’attacco al cuore dello Stato che si conclude con una sorta di “bollettino della vittoria” diramato prima delle elezioni politiche del 27 marzo 1994».

Qualcuno, in Calabria, si ricorda di lei quando, con alterne fortune, frequentava il circolo scacchistico di Campora San Giovanni. Da scacchista, come giudicherebbe la strategia della Falange Armata.
«Giocatori straordinari, menti raffinatissime in una partita drammatica in cui i pedoni, i cavalli e gli alfieri sono persone innocenti, forze dell’ordine ed eroi borghesi che muoiono davvero. Le torri sono monumenti che vengono effettivamente demoliti, la regina è una Repubblica tradita e il re è un giocatore che abbandona la partita senza nemmeno giocarla».

La falange armata. Storia del golpe sconosciuto che ha ridisegnato l’Italia di Giovanni Spinosa e Michele Mengoli-Piemme. 18 euro

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