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Eugenio Guarascio, presidente del Cosenza

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DA SETTIMANE a Guarascio, presidente-padrone nella versione ottocentesca, della società Cosenza calcio, alcune decine di volenterosi tifosi a dir poco infuriati per la calata agli inferi della terza serie della squadra del cuore rivolgono in modi civili un invito pressante e inequivocabile: “Guarascio vattene”.

Un anonimo tifoso ancora fiducioso nella forza della stampa ha acquistato un’intera pagina su questo Quotidiano per ripetere lo stesso invito e immaginando che una citazione autorevole, nel campo, aiutasse ha ricordato le parole di Mourihno il “number one” degli allenatori – convinzione conclamata dell’ interessato – “ CHI DICE CHE IL CALCIO È SOLO CALCIO, NON HA CAPITO NIENTE DEL CALCIO”.

Ma Guarascio non è persona che si cura dell’ira popolare, forse perché sa cose che i comuni mortali non conoscono, cose di cui lui è venuto a conoscenza saltellando tra un appalto e l’altro per la gestione dei rifiuti – “pepita d’ oro” del nostro tempo – forse perché la sua autostima, che più correttamente potrebbe dirsi arroganza, è piu solida della volenterosa protesta dei tifosi, forse perché – è la terza ipotesi – si è stufato del calcio, per lui una sorta di palla nera su sfondo nero, ma non dei benefici diretti e indiretti che a costo prossimo allo zero ne ha ricavato.

Su questo punto non è un problema trovare riscontri: a parte la fortunosa salvezza dello scorso campionato di cui si fa fatica ad attribuire il merito o al cosentino Garritano con il goal segnato per il Chievo a una manciata di minuti dalla fine o più autorevolmente alla misericordia di san Francesco di Paola, copatrono di Cosenza, l’ultimo campionato è stato una programmata e lucida marcia verso il baratro.

I tifosi e gli amanti del calcio non hanno bisogno di prove specifiche bastandogli la demenziale compagnia di giro chiamata impropriamente squadra e ancora più alcuni precedenti. Scegliendo fior da fiore, Guarascio per la fortuna, che spesso senza merito gli arride, ha avuto in squadra fior fiori di giocatori, che con il senno del “buon padre di famiglia”, capace e generoso, non parco fino alla spilorceria, si sarebbe dovuto tenere ben stretti, non per amore ma per soldi. E invece Okereke riscattato dallo Spezia e ceduto al Bruges con un guadagno di 4 milioni di euro ha reso al Cosenza euro 10.000,00, Palmiero euro 15.000,00 , Tutino, un vero numero uno, euro 19.000,00! Dermaku che è poi volato in serie A non ha ricevuto dal presidente padrone neppure uno straccio di proposta.

L’elenco potrebbe allungarsi ma il risultato non cambia: Guarascio non capisce nulla di calcio (sic dixit), ignora una delle leggi del calcio in particolare che il solo modo di una squadra di nutrire ambizioni, senza le quali il calcio prima sfiorisce e poi muore, è di curare i giovani talenti, come il nazionale cosentino Berardi, e non lasciarsi sfuggire quelli di passaggio, in prestito cioè in modalità di attimo fuggente.

Accertato quindi che Guarascio ha il profilo del presidente padrone, profilo che funziona purtroppo ancora con giovani senza lavoro e immigrati, molto meno con giocatori talentuosi, accertato altresì che le parole di Mourinho a lui paiono incomprensibili elucubrazioni che butterebbe volentieri in discariche di cui è abituale utilizzatore, i cosentini debbono prendere atto che dopo aver perso tante occasioni per sé e la città, che pare avvolta nelle nebbie dell’incertezza o del degrado al pari del calcio, debbono rassegnarsi ai campi spelacchiati di antica memoria, esaltarsi per incontrare squadre di paesoni semisconosciuti, rinunciare al “sogno” di non avere definitamente preclusa la strada per i campionati maggiori, rosicando di rabbia perché solo Catanzaro, Reggina e Crotone sono arrivati nell’Eden della serie A. A Cosenza resta la “prestigiosa” compagnia della Vibonese!

Ma c’è una ragione più importante dell’aspetto puramente sportivo che conta nella spocchiosa indifferenza del capo supremo Guarascio. Senza citare ancora una volta il neo allenatore della Roma, il calcio è un magnifico e insostituibile elemento identitario per la città. Messo da parte il mito dell’Atene della Calabria “che sarebbe incongruo con la cultura o meglio l’incultura del fatuo e dei vaneggiamenti sulla città futuribile di fantasyland – come pare dimostrare il dato che compare nel bilancio previsionale del Comune che alla voce “Cultura”, quella vera, riserva 0 (zero euro) per il prossimo anno – messa da parte la speranza per migliaia di giovani, spesso più che talentuosi, di trovare lavoro qualificato in Calabria senza sbattere contro porte sbarrate e nepotismo a gogò, sistematicamente ignorati dalla politica che infatti proclama la Calabria terra dei padri e per l’arguto contributo di un manager famoso anche delle madri, ignorando i figli e nipoti affidati al sostentamento familiare.

Tutto ciò premesso il calcio era ed è ciò che ha consentito negli anni a cosentini lontani per varie ragioni da Cosenza di sentirsi anche fisicamente a casa quando si ritrovavano in migliaia sulle gradinate di stadi prestigiosi; il calcio che è una cosa seria è ciò che dà senso a domeniche vuote e accomuna come la “livella di Totò” nobili e plebei, cioè quello che si pronuncia di rado ma si chiama ancora Popolo. L’arroganza e la protervia di Guarascio su cui anche la politica tace – sarebbe interessante sapere perché, dal momento che essa da queste parti ciancia spesso e senza costrutto – offende la dignità delle persone e della città.

Se qualcuno si periterà di dirglielo, anziché sussurrare prudenti critiche subito rimangiate, per sicuri corposi impedimenti tutti da esplorare, farà cosa buona e onesta. Il calcio cosentino languirà fino all’irrilevanza, sociale ancor prima che sportiva, la città da fantayland prima o poi si scoprirà più povera e meno trendy, la pace sociale peraltro non toccata da qualche decina di tifosi incavolati si terrà fedele ai parametri dell’indifferenza, e della deferenza verso presunti “potenti” conservati in naftalina, lo struscio su corso Mazzini continuerà con le chiacchiere e con i “murmurii” di sempre.  

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