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ragedia di Fabiana a Corigliano ha suscitato, oltro all’ovvio orrore, una discussione che ieri ha invaso la rete e quant’altro sull’onda di una lettera pubblicata dal Corriere della Sera di Francesca Chaouqui, nata 30 anni fa a Corigliano, oggi direttore delle relazioni esterne della nota multinazionale Ernst Young Italia.

  Conviene restare freddi nelle analisi e nei ragionamenti in occasioni come queste perche’ il pensiero non arretri dinanzi alle emozioni (operazione in se’ assai difficile), l’indignazione non finisca per travolgere, al di la’ delle piu’ nobili intenzioni, una riflessione utile su quel che accade in Calabria e in Italia.
  Ora e’ di tutta evidenza che la tragedia di Corigliano non possa essere disgiunta da un quadro di arretratezza (non tanto e non solo economica) di valori e di fondo, si potrebbe dire, che circonda il nostro vivere quotidiano. Quel che rende piu’ anormale rispetto ad altre situazioni che si verificano a ritmo ormai quotidiano in Italia la tragedia di Corigliano e’ forse proprio l’eta’ del ragazzo, nemmeno 18 anni, ed una concezione che a quella tenera’ eta’ lo porta a fare quel che ha fatto. Su questo ha ragione la signora Chaouqui. Ma siamo certi (ed io non lo sono affatto) che quella concezione che porta a dire frasi di dominio e di arroganza dell’uomo sulla donna sia tipica della Calabria e di Corigliano? Mi chiedo: quale e’ la cifra che differenzia la Calabria dal ricco Veneto o dalla opulenta Lombardia dove altri uomini uccidono altre donne, con modalita’ non cosi’ cruente e ferine ma simili? Davvero crediamo che il paese calabrese (Corigliano nel caso di specie) si differenzi molto in quanto a drammatica crisi di valori rispetto ad una borgata romana o ad un periferia milanese? I modelli adoloscenziali quelli sono, purtroppo, in situazioni diverse e quindi subiscono tracce di differenziazioni, ma il nodo di fondo resta quello. E bene ha fatto ieri la mamma di Fabiana a dire dell’assassino della figlia ‘’anche lui e’ una povera vittima’’. Perche’ questo, alla fine, e’ il nocciolo duro della questione.
  Sulla strage che e’ in atto in Italia tanto si sta scrivendo ma crediamo  che la violenza sulle donne sia trasversale non in quanto a segmenti sociali toccati ma proprio per la sua presenza in tutte le latitudini geografiche del paese. Qui parlano le cifre e noi le facciamo parlare: nel rapporto sulla criminalità in Italia si scopre che le donne uccise sono passate dal 15,3 per cento del totale, nel triennio 1992-1994, al 26,6 del 2006-2008. Peraltro, la maggior parte delle vittime si registra nel ricco e sviluppato (e, certo, più popolato) nord: dove, nel 2008, ultimo anno disponibile, le vittime di sesso femminile sono state il 47,6 per cento, contro il 29,9 per cento del sud e il 22,4 del centro.
E’ un dramma, dunque, nazionale ma in verita’ non solo nostro, se vogliamo essere un po’ meno provinciali e se guardiamo, infatti, a quel che sta accadendo, ad esempio, in Spagna da alcuni anni a questa parte, dove e’ diventata una emergenza nazionale la violenza sulle donne e dove, assai piu’ correttamente che da noi, questa strage viene definita ‘’machismo terrorista’’. Perche’ di questo appunto trattasi.
  Del resto bastava dare un’occhiata alla pagina seguente dello stesso Corriere della Sera di ieri che ospitava la lettera della signora Chaouqui per rendersene conto: li’ c’e’ la sintesi di uno studio ‘’The anatomy’ of violence’’ in cui sono stati analizzati e seguiti 104 detenuti per reati connessi la femminicidio in Gran Bretagna e l’autrice Rebecca Bobash (insegna all’Universita’ di Manchester) al Corriere ha detto che il punto e’ quello di ‘’intervenire sull’educazione e sulla cultura popolare per scoraggiare la violenza di genere’’.
  E ieri il Centro antiviolenza Roberta Lanzino ha messo sulla sua pagina di Facebook una lunga riflessione sulla tragedia di Fabiana di cui vale la pena leggere l’ultima parte: ‘’l ‘unica vera prevenzione rispetto alla violenza di genere consiste nella formazione, nell’educazione all’affettività, ad una consapevolezza corporea positiva, ad una gestione razionale dei sentimenti di rabbia, frustrazione ed impotenza.Vedere la violenza e combatterla è una questione di responsabilità alla quale nessuno può sottrarsi, tantomeno gli uomini e le donne delle istituzioni, lasciare soli i Centri antiviolenza o in condizioni di precarietà vuol dire non aver cura dei diritti umani delle donne’’
  Sempre ieri sul suo blog Ida Dominijanni ha cosi’ scritto: ‘’l’omicidio efferato di Fabiana Luzzi, 15 anni, da parte del suo fidanzato coetaneo a Corigliano Calabro, così come la sospetta istigazione al suicidio di Carolina Picchio, 14 anni, da parte di un gruppo di suoi compagni coetanei a Novara, dicono chiaro chiaro che sul cosiddetto femminicidio stiamo prendendo la strada sbagliata.Inutile mettersi a fare leggi, firmare convenzioni internazionali e allestire task force governative senza interrogarsi sulle radici profonde di questa guerra all’esistenza femminile, di questa deriva rovinosa della crisi d’identità maschile, della rottura del patto di civiltà che c’è sotto’’.
  Questo ci sembra un ragionare che puo’ farci fare un passo in avanti. Sul resto, di chi parte e di chi resta, di chi scappa e di chi e’ costretto a rimanere, riflessione pur presente nella lettera della signora Chaouqui il dibattito e’ aperto e le scuole di pensiero sono varie. Ma la chiusa della signora Chaouqui e’ da condividere fino in fondo: ‘’noi calabresi oggi siamo tutte Fabiana, chi e’ rimasto e chi come me e’ andata via, ma un pezzo del mio cuore e’ ancora li’, nonostante tutto’’.

La tragedia di Fabiana a Corigliano ha suscitato, oltro all’ovvio orrore, una discussione che ieri ha invaso la rete e quant’altro sull’onda di una lettera pubblicata dal Corriere della Sera di Francesca Chaouqui, nata 30 anni fa a Corigliano, oggi direttore delle relazioni esterne della nota multinazionale Ernst Young Italia.
  Conviene restare freddi nelle analisi e nei ragionamenti in occasioni come queste perche’ il pensiero non arretri dinanzi alle emozioni (operazione in se’ assai difficile), l’indignazione non finisca per travolgere, al di la’ delle piu’ nobili intenzioni, una riflessione utile su quel che accade in Calabria e in Italia.
  Ora e’ di tutta evidenza che la tragedia di Corigliano non possa essere disgiunta da un quadro di arretratezza (non tanto e non solo economica) di valori e di fondo, si potrebbe dire, che circonda il nostro vivere quotidiano. Quel che rende piu’ anormale rispetto ad altre situazioni che si verificano a ritmo ormai quotidiano in Italia la tragedia di Corigliano e’ forse proprio l’eta’ del ragazzo, nemmeno 18 anni, ed una concezione che a quella tenera’ eta’ lo porta a fare quel che ha fatto. Su questo ha ragione la signora Chaouqui. Ma siamo certi (ed io non lo sono affatto) che quella concezione che porta a dire frasi di dominio e di arroganza dell’uomo sulla donna sia tipica della Calabria e di Corigliano? Mi chiedo: quale e’ la cifra che differenzia la Calabria dal ricco Veneto o dalla opulenta Lombardia dove altri uomini uccidono altre donne, con modalita’ non cosi’ cruente e ferine ma simili? Davvero crediamo che il paese calabrese (Corigliano nel caso di specie) si differenzi molto in quanto a drammatica crisi di valori rispetto ad una borgata romana o ad un periferia milanese? I modelli adoloscenziali quelli sono, purtroppo, in situazioni diverse e quindi subiscono tracce di differenziazioni, ma il nodo di fondo resta quello. E bene ha fatto ieri la mamma di Fabiana a dire dell’assassino della figlia ‘’anche lui e’ una povera vittima’’. Perche’ questo, alla fine, e’ il nocciolo duro della questione.
  Sulla strage che e’ in atto in Italia tanto si sta scrivendo ma crediamo  che la violenza sulle donne sia trasversale non in quanto a segmenti sociali toccati ma proprio per la sua presenza in tutte le latitudini geografiche del paese. Qui parlano le cifre e noi le facciamo parlare: nel rapporto sulla criminalità in Italia si scopre che le donne uccise sono passate dal 15,3 per cento del totale, nel triennio 1992-1994, al 26,6 del 2006-2008. Peraltro, la maggior parte delle vittime si registra nel ricco e sviluppato (e, certo, più popolato) nord: dove, nel 2008, ultimo anno disponibile, le vittime di sesso femminile sono state il 47,6 per cento, contro il 29,9 per cento del sud e il 22,4 del centro.
E’ un dramma, dunque, nazionale ma in verita’ non solo nostro, se vogliamo essere un po’ meno provinciali e se guardiamo, infatti, a quel che sta accadendo, ad esempio, in Spagna da alcuni anni a questa parte, dove e’ diventata una emergenza nazionale la violenza sulle donne e dove, assai piu’ correttamente che da noi, questa strage viene definita ‘’machismo terrorista’’. Perche’ di questo appunto trattasi.
  Del resto bastava dare un’occhiata alla pagina seguente dello stesso Corriere della Sera di ieri che ospitava la lettera della signora Chaouqui per rendersene conto: li’ c’e’ la sintesi di uno studio ‘’The anatomy’ of violence’’ in cui sono stati analizzati e seguiti 104 detenuti per reati connessi la femminicidio in Gran Bretagna e l’autrice Rebecca Bobash (insegna all’Universita’ di Manchester) al Corriere ha detto che il punto e’ quello di ‘’intervenire sull’educazione e sulla cultura popolare per scoraggiare la violenza di genere’’.
  E ieri il Centro antiviolenza Roberta Lanzino ha messo sulla sua pagina di Facebook una lunga riflessione sulla tragedia di Fabiana di cui vale la pena leggere l’ultima parte: ‘’l ‘unica vera prevenzione rispetto alla violenza di genere consiste nella formazione, nell’educazione all’affettività, ad una consapevolezza corporea positiva, ad una gestione razionale dei sentimenti di rabbia, frustrazione ed impotenza.Vedere la violenza e combatterla è una questione di responsabilità alla quale nessuno può sottrarsi, tantomeno gli uomini e le donne delle istituzioni, lasciare soli i Centri antiviolenza o in condizioni di precarietà vuol dire non aver cura dei diritti umani delle donne’’
  Sempre ieri sul suo blog Ida Dominijanni ha cosi’ scritto: ‘’l’omicidio efferato di Fabiana Luzzi, 15 anni, da parte del suo fidanzato coetaneo a Corigliano Calabro, così come la sospetta istigazione al suicidio di Carolina Picchio, 14 anni, da parte di un gruppo di suoi compagni coetanei a Novara, dicono chiaro chiaro che sul cosiddetto femminicidio stiamo prendendo la strada sbagliata.Inutile mettersi a fare leggi, firmare convenzioni internazionali e allestire task force governative senza interrogarsi sulle radici profonde di questa guerra all’esistenza femminile, di questa deriva rovinosa della crisi d’identità maschile, della rottura del patto di civiltà che c’è sotto’’.
  Questo ci sembra un ragionare che puo’ farci fare un passo in avanti. Sul resto, di chi parte e di chi resta, di chi scappa e di chi e’ costretto a rimanere, riflessione pur presente nella lettera della signora Chaouqui il dibattito e’ aperto e le scuole di pensiero sono varie. Ma la chiusa della signora Chaouqui e’ da condividere fino in fondo: ‘’noi calabresi oggi siamo tutte Fabiana, chi e’ rimasto e chi come me e’ andata via, ma un pezzo del mio cuore e’ ancora li’, nonostante tutto’’.

 

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