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Un momento della protesta all’IIS “Valentini-Majorana” di Castrolibero

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di GABRIELE PETRONE
docente dell’IIS “Valentini-Majorana”

La vicenda dei 15 giorni di occupazione dell’IIS “Valentini-Majorana” di Castrolibero (a mia memoria non ne ricordo, almeno in tempi recenti, di più lunghe) può essere considerata un caso emblematico, certamente un fatto che, senza alcuna esagerazione, ha segnato la storia della scuola italiana.

A mente più fredda, quindi, è possibile svolgere alcune considerazioni che credo possano essere utili per comprendere meglio ciò che è accaduto e ricavarne alcune indicazioni per il futuro. Come è stato possibile che in una scuola-modello della provincia di Cosenza, diretta da una dirigente generalmente stimata per la sua esperienza e capacità, si sia potuto verificare un cortocircuito così deflagrante da sorprendere tutti, per primo chi scrive e che poteva avere conseguenze anche drammatiche se non si fossero manifestati due fattori importanti: la maturità di un movimento studentesco che si è misurato su temi ampi e particolarmente sentiti dall’opinione pubblica e la responsabilità dimostrata dal tessuto civile ed istituzionale del territorio che ha saputo raccogliere e farsi carico delle ragioni della protesta.

Sono stati mossi rilievi, che ovviamente condivido, sul fatto che le persone coinvolte abbiamo subito un processo mediatico e preventivo prima che fossero accertati fatti, circostanze ed eventuali responsabilità.

Il problema esiste e investe ormai il funzionamento stesso della democrazia e dello Stato di diritto e delle garanzie individuali in una società che si nutre bulimicamente di comunicazione social. Tuttavia credo che, stavolta, la questione più importante sia stata un’altra, l’emergere cioè di un rifiuto netto, espresso in forme certamente radicali (come hanno sempre fatto storicamente i giovani) della persistenza di una cultura sessista, di stereotipi e pregiudizi che attraversano soprattutto il mondo “adulto”.

In questo senso si può senza dubbio dire che, anche se le persone coinvolte (come auspico perché da sempre contrario alle gogne e alle forche sia preventive che successive) saranno completamente sollevate da ogni possibile addebito, nulla sarebbe tolto alla forza dirompente dell’evento cui abbiamo assistito.

Il superamento del sessismo, della concezione predatoria delle relazioni tra i sessi, del rispetto dell’identità e della diversità di genere sono un tema educativo fondamentale, e chi deve farsene carico se non la scuola?

Ma c’è un’altra questione di cui bisogna tenere conto: il corto circuito che ha innescato la vicenda del “Valentini-Majorana” (ma fenomeni simili si stanno manifestando con il risveglio della mobilitazione studentesca e giovanile in tutta Italia) ha infatti messo in evidenza come l’eccessiva burocratizzazione-aziendalizzazione che la scuola ha subito negli ultimi anni, a cui si è aggiunto l’impatto traumatico della pandemia e della DAD, deve essere finalmente superata.

Come per la sanità anche per la scuola occorre rendersi conto, una volta per tutte, che l’obiettivo fondamentale non è il pareggio dei bilanci e il risparmio delle spese ma il servizio reso ai cittadini, vale a dire la tutela della salute e la garanzia del diritto allo studio.

Bisogna prendere atto che la politica del dimensionamento scolastico che ha prodotto mega-istituti con migliaia di studenti, centinaia di docenti, di collaboratori e di personale ATA frutto della concorrenza spietata nella “caccia alle iscrizioni” non può più reggere.

È infatti inevitabile che un modello organizzativo di questa natura finisca per assumere, suo malgrado, una dimensione gerarchica rigida in cui gli studenti, che dovrebbero essere invece al centro dell’azione della scuola, finiscono per essere posti in una condizione di inferiorità o comunque passiva. A Castrolibero abbiamo assistito, ad un certo punto, ad una rottura e a una lacerazione trasversale e orizzontale della comunità scolastica che non poteva più essere sanata ricorrendo a strumenti ordinari. La soggettività studentesca ha messo in crisi tutto il sistema, ha ridimensionato e sostanzialmente trasformato la funzione stessa degli organi collegiali (quanto è necessaria la loro riforma è un’altra lezione di questa vicenda), ha condizionato sin dall’inizio lo sviluppo degli eventi e lo ha incanalato, per fortuna, in uno sbocco culturalmente avanzato.

Occorre essere altrettanto consapevoli, tuttavia, dell’altra faccia della medaglia: il rischio (già verificatosi nel passato) che la prevalenza della soggettività degli studenti possa anche degenerare in un abbassamento della qualità dell’offerta formativa e degli stessi livelli di garanzia del personale, dai docenti ai dirigenti, che rischia di restare schiacciata dalle altre componenti della comunità educativa, come le famiglie.

Un fenomeno, tuttavia, che è già in atto da tempo, perché l’esigenza di “prendere” e di “non perdere” alunni ha già prodotto danni profondi, a cominciare dalla subalternizzazione dei docenti alle famiglie, con un evidente squilibrio nel patto di corresponsabilità della scuola. Insomma ciò che è successo al “Valentini-Majorana” è solo il sintomo di una malattia più vasta che ha bisogno di una cura ben più robusta in una “riforma di sistema”. Tutti i sistemi che si basano sui principi e valori democratici vivono di equilibri e di una capacità di attenuazione e risoluzione dei conflitti.

Il problema quindi, se crediamo nel principio democratico, non è quello di esorcizzare o peggio reprimere il conflitto ma farlo esprimere nelle forme previste dalla libera convivenza democratica. L’obiettivo è quello di creare e far effettivamente funzionare quelle “gerarchie orizzontali” che sono le uniche possibili nella scuola di un paese democratico.

In questo senso la proposta che i ragazzi del “Valentini-Majorana” di portare i “centri antiviolenza” nelle scuole (ma in generale quella di una apertura ai bisogni fortemente sentiti dai giovani che, guarda caso si concentrano soprattutto sui temi dell’ambiente e dei diritti) rappresenta un ennesimo impegno per il nostro Paese: riformare il “modello di scuola” che abbiamo conosciuto finora e adattarlo alle sfide poste in essere da una società profondamente mutata dalla pandemia. In questo senso la vicenda del “Valentini-Majorana” può davvero definirsi un “caso di scuola”.

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