X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

Giannola (Svimez) spiega «il vero progetto» del disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata: «Il Grande Nord». Al Ridotto del Rendano la mobilitazione dei sindaci per informare sul tema la cittadinanza


COSENZA – Continuano a manifestare i sindaci del Sud contrari all’autonomia differenziata. Le parole pronunciate venerdì da Meloni – «se invece di fare le manifestazioni ci si mettesse a lavorare, forse si potrebbe ottenere qualche risultato in più» aveva detto a Gioia Tauro, rivolta a De Luca, che protestava a Roma – riecheggiavano ieri anche nel Ridotto del Rendano dove Franz Caruso, sindaco di Cosenza, aveva chiamato a raccolta i colleghi per dire no al ddl Calderoli. Ma nessuno n’è parso turbato: dateci le stesse risorse degli altri, replicano, e vediamo se i risultati arrivano.
«I miei concittadini mi chiedono sempre perché devono aspettare 40 minuti per il bus, mentre e Firenze o Bologna ne bastano 20 o 15. Io sui trasporti non credo di essere meno preparato dei miei colleghi. Sono laureato in Ingegneria dei trasporti, con 110 e lode. Sapete quante risorse hanno i sindaci di Firenze e Bologna per il trasporto pubblico? Quaranta milioni. Bari, a parità di superficie e abitanti, la metà. Datemi le stesse risorse e vedrete che i bus passeranno più spesso. Ma il rischio, con questa autonomia differenziata, è che a Bari in futuro di minuti bisognerà aspettarne 50». È lo sfogo di Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente Anci, nel corso del dibattito moderato dal giornalista Arcangelo Badolati.

Decaro il suo no al ddl Calderoli lo sostanzia con le cifre. «La maggiore capacità fiscale del Paese è concentrata in tre regioni: il 40% di incasso Irpef lo fanno solo Lombardia, Emilia e Veneto. In tutto il sud siamo fermi al 25%. E se guardiamo ai tributi comunali, vediamo che la capacità fiscale al nord è di 105 euro ad abitante, da noi è del 35%» spiega. Come a dire che le basi per l’autonomia, di cassa, delle Regioni – almeno di alcune – è lontana.
E a chi ricorda al centrosinistra che il seme dell’autonomia differenziata lo posarono i suoi governi con la riforma del titolo V, Decaro replica secco: «Fu un errore quello del 2001, senza quello non saremmo qui».
Stessa posizione del sindaco di Cosenza, Franz Caruso, che l’autonomia differenziata non la concepisce in nessuna forma. «Sono contrario a prescindere a questa secessione. Si frattura il Paese in 20 piccole Repubbliche, si disgrega l’unità nazionale sancita dall’articolo 5 della nostra Costituzione. Quindi, anche se finanziassero i Lep questa riforma non diventerebbe per me più accettabile» spiega.

La sala è piena, c’è un discreto numero di fasce tricolori della provincia di Cosenza e non solo. C’è la sindaca di Siderno Fragomeni e rappresentanti dei Comuni di Catanzaro, Crotone e Reggio. «Questa è la più importante mobilitazione promossa finora sul territorio» sottolinea il sindaco, sorvolando sul sit-in davanti alla Prefettura («in forma ridotta») organizzato dalla presidente Anci Calabria Rosaria Succurro qualche giorno fa. Non può essere l’ultimo, avverte, ma serve un’azione capillare nei singoli comuni «per informare la cittadinanza».
Anche perché il ddl ha già incassato il sì del Senato e veleggia indisturbato verso la conferma alla Camera. Il senatore dem Nicola Irto – unico calabrese a Palazzo Madama ad aver votato no alla riforma – promette che a Montecitorio si darà battaglia e in seconda battuta confida nella possibilità di tentare la strada referendaria (impervia, se non sbarrata). «La riforma va fermata ora. Che nessuno si illuda di poter aspettare un altro governo – avverte – Come si fa ad annullare tutto, dopo, e a tornare indietro, se le Regioni hanno iniziato a esercitare l’autonomia?». Nessuno in sala crede, peraltro, che i Lep – i livelli essenziali delle prestazioni, ovvero i diritti minimi garantiti ai cittadini in alcuni servizi – saranno finanziati prima della devolution. «Non c’è un euro nel disegno di legno e servono 100 miliardi: dove mai li troveranno?» domanda, retoricamente, Irto.

Preoccupato, anzi spaventato, dalla riforma incombente si dice il vescovo di Cosenza-Bisignano, monsignor Giovanni Checchinato, da tempo in prima linea contro una proposta «che creerebbe una falla nel nostro Paese» e appare «contraria all’idea di una comunità che cammina insieme». Citando don Tonino Bello, ricorda che bisogna preoccuparsi della casa comune e non solo della ‘cassa comune’, perché in una famiglia «non si vive di sola economia ma di relazioni» e a dettare il passo «devono essere gli ultimi».
In sala prendono la parola sindacati (Walter Bloise della Uil) e associazioni (Gino Crisci per la ‘Dossetti’). «Nei miei anni da rettore dell’Unical – ricorda Crisci – ho dovuto combattere con le sperequazioni create dalla spesa storica. E con l’autonomia differenziata sarà lo stesso. Non ci sono i soldi per finanziare i Lep, si continuerà ad adottare il criterio della spesa storica. E chi ha avuto meno, continuerà ad avere meno».
E Adriano Giannola, presidente Svimez, rintraccia tra le pieghe del disegno di legge, quello che considera il «vero progetto» della Lega o «il secondo tempo dell’autonomia differenziata». Là dove si scrive che le regioni che chiedono tutte le competenze potranno istituire organismi comuni. «Avremo un Grande Nord con una sovranità tale da rendere ridicola l’ipotesi di premierato di questo governo – commenta – Che premierato è se non controlli niente?».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE