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ROCCA IMPERIALE – C’è un ampio capitolo nella storia della Calabria settentrionale, ancora poco conosciuto, che è quello altomedievale. È un capitolo fatto dai Longobardi, dai Bizantini, dai Normanni. «Di questo periodo ci è pervenuta pochissima documentazione scritta (per il X secolo, per esempio abbiamo solo il Bios di Nilo di Rossano), ma vi è una copiosa documentazione archeologica», ricorda Giuseppe Roma, professore ordinario di Archeologia cristiana e medievale presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Unical, che è impegnato da dieci anni nel recupero della documentazione archeologica e della storia di questa parte del territorio calabrese. L’ultima campagna di scavo del suo gruppo in quest’area ha portato alla luce nell’alto Ionio cosentino, in località Murgie Santa Caterina di Rocca Imperiale, un monastero fortificato altomedievale edificato dai bizantini e dedicato probabilmente a Sant’Anania. 
Una scoperta che si intreccia con la ricerca partita, come detto, dieci anni prima e condotta sulle tracce del limes longobardo. A metà degli anni ’90, il professor Roma inizia le campagne di scavo a Presinace, nel territorio di Nocara, dove riemerge parte della cinta fortificata eretta dai Longobardi – 800 metri di perimetro – per controllare la via di penetrazione verso l’interno attraverso la valle del Sarmento. La struttura si rivelò simile a quella di Sassòne nel territorio di Morano Calabro, in corrispondenza del valico di Campotenese. «Gli studiosi che si erano occupati di questo argomento avevano sempre formulato ipotesi che escludevano la presenza di un confine stabile per i Longobardi del Sud. Il confine, tuttavia, per qualsiasi entità statale non è utile solo per la difesa militare, ma anche a fini economici e fiscali. Avanzai, dopo l’indagine archeologica della cinta fortificata di Sassòne, l’ipotesi, confortata anche dalla copiosa documentazione di scavo, che potesse trattarsi di fortificazioni del limes longobardo del Ducato di Benevento in Calabria. Le successive indagini archeologiche – spiega Roma – confermarono questa ipotesi»
 Alla fine il limes meridionale del ducato longobardo di Benevento, nella Calabria settentrionale, è stato indagato, evidenziando  a controllo dei valichi pedemontani  le cinte fortificate di Presinace, Sassone, Casalini di San Sosti, Sasso dei Greci a Buonvicino, Castellaccio di Cerisano, fino al Piano della Tirena alla foce del Savuto. 
Questi imponenti anelli murari, che dovevano dare rifugio alla popolazione sparsa nel circondario in caso di attacco, diventano traccia di lettura e di studio delle fasi successive, perché  dopo la riconquista dell’885 i bizantini realizzano all’interno di queste cinte i loro monasteri fortificati. Il castrum di Presinace, per esempio, abbandonato dopo la caduta dei Longobardi di Benevento e risalente alla fine del VI e agli inizi del VII secolo, da quello che riferisce un atto notarile in greco che reca la data del 1015, viene trasformato in monastero fortificato.  Lo stesso atto parla anche del monastero di Sant’Anania, che probabilmente corrisponde al monastero che l’équipe del professor Roma sta scavando nel sito di Murgie di Santa Caterina a Rocca Imperiale.
L’indagine archeologica dovrà chiarire se ci troviamo in presenza solo di un monastero bizantino fortificato o anche di altre preesistenze. L’atto in greco del 1015, proveniente dall’abbazia di Cava dei Tirreni e pubblicato dal Trinchera nel suo “Syllabus graecarum membranarum”, attesta che in quell’anno il monaco Nicone e suo figlio Ursulo donano a Luca, igumeno del vicino monastero di Sant’Anania il castrum, denominato  “Rupe del cieco” (nella traduzione dal greco) perché al suo interno edifichi una chiesa dedicata a San Nicola, raduni monaci e offra rifugio ai laici dalle incursioni dei Saraceni. Le indagini archeologiche a Presinace, come riferisce Roma nel testo “I Longobardi del Sud”, hanno messo in luce in effetti la presenza, all’interno della cinta, di un edificio di culto monoabsidato e  a navata unica. Il confronto dei dati toponomastici citati nell’atto del 1015 con quelli dell’Istituto geografico militare ha permesso di identificare la postazione fortificata, indicata nell’atto, con il sito di Presinace. Il collegamento quindi con Presinace (il sito archeologico delle Murgie è localizzato proprio di fronte), il tipo di insediamento emerso, i riscontri toponomastici, hanno consentito di individuare proprio a Rocca Imperiale il probabile monastero di Sant’Anania. 
Il monastero, che viene occupato in seguito – al pari di quello di Presinace – dai Normanni, come attesta la ricca documentazione archeologica, con la costruzione del castello di Rocca Imperiale nel XIII secolo viene abbandonato e la popolazione si trasferirà ai piedi del castello. 
Il gruppo di ricerca, impegnato dal 15 settembre scorso nella quarta campagna di scavo e ospitato dall’amministrazione comunale di Rocca Imperiale, comprende dottorandi, specializzati in archeologia, assegnisti di ricerca e laureandi, con la direzione scientifica del professor Roma e la guida della professoressa Adele Coscarella e della dottoressa Franca Papparella. Con loro anche un gruppo di operai messo a disposizione dal Consorzio di Bonifica, mentre da lunedì arriverà un gruppo di dottorandi dell’Università della California, che faranno esperienza di scavo in Italia.
Gli archeologi dell’Unical hanno riportato alla luce finora parte della cinta muraria, una serie di locali, alcune sepolture vuote, la fornace e l’edificio di culto, che sorgeva direttamente sulla roccia: una tecnica di costruzione individuata anche all’interno dell’insediamento di Nocara. L’abside è rivolta ad oriente e i resti emersi indicano che l’architettura dell’edificio religioso comprendeva templon (l’architrave sorretto da colonne che divideva il presbiterio dalla parte dedicata ai fedeli) e  subsellia (i banchi per i presbiteri) e che i locali erano originariamente intonacati e dipinti.
I ritrovamenti all’interno del sito ne testimoniano la ricchezza e l’intensa produttività agricola e artigianale. Sono stati rinvenuti utensili e vasellame in ceramica invetriata policroma e protomaiolica, con forme che appaiono finora uniche nel loro genere. E il sito ha restituito anche un deposito di farro e favino: una scoperta sorprendente, perché nell’area non si coltivano più questi cereali. Un campione è stato trasmesso alla Facoltà di Agraria dell’Università della Basilicata, a Potenza, perché ne estragga il dna, individui la variante e stabilisca se sia ancora possibile coltivarlo. 

ROCCA IMPERIALE (CS) – C’è un ampio capitolo nella storia della Calabria settentrionale, ancora poco conosciuto, che è quello altomedievale. È un capitolo fatto dai Longobardi, dai Bizantini, dai Normanni. «Di questo periodo ci è pervenuta pochissima documentazione scritta (per il X secolo, per esempio abbiamo solo il Bios di Nilo di Rossano), ma vi è una copiosa documentazione archeologica», ricorda Giuseppe Roma, professore ordinario di Archeologia cristiana e medievale presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Unical, che è impegnato da dieci anni nel recupero della documentazione archeologica e della storia di questa parte del territorio calabrese. 

L’ultima campagna di scavo del suo gruppo in quest’area ha portato alla luce nell’alto Ionio cosentino, in località Murgie Santa Caterina di Rocca Imperiale, un monastero fortificato altomedievale edificato dai bizantini e dedicato probabilmente a Sant’Anania. Una scoperta che si intreccia con la ricerca partita, come detto, dieci anni prima e condotta sulle tracce del limes longobardo. A metà degli anni ’90, il professor Roma inizia le campagne di scavo a Presinace, nel territorio di Nocara, dove riemerge parte della cinta fortificata eretta dai Longobardi – 800 metri di perimetro – per controllare la via di penetrazione verso l’interno attraverso la valle del Sarmento. La struttura si rivelò simile a quella di Sassòne nel territorio di Morano Calabro, in corrispondenza del valico di Campotenese. 

«Gli studiosi che si erano occupati di questo argomento avevano sempre formulato ipotesi che escludevano la presenza di un confine stabile per i Longobardi del Sud. Il confine, tuttavia, per qualsiasi entità statale non è utile solo per la difesa militare, ma anche a fini economici e fiscali. Avanzai, dopo l’indagine archeologica della cinta fortificata di Sassòne, l’ipotesi, confortata anche dalla copiosa documentazione di scavo, che potesse trattarsi di fortificazioni del limes longobardo del Ducato di Benevento in Calabria. Le successive indagini archeologiche – spiega Roma – confermarono questa ipotesi». Alla fine il limes meridionale del ducato longobardo di Benevento, nella Calabria settentrionale, è stato indagato, evidenziando  a controllo dei valichi pedemontani  le cinte fortificate di Presinace, Sassone, Casalini di San Sosti, Sasso dei Greci a Buonvicino, Castellaccio di Cerisano, fino al Piano della Tirena alla foce del Savuto. 

Questi imponenti anelli murari, che dovevano dare rifugio alla popolazione sparsa nel circondario in caso di attacco, diventano traccia di lettura e di studio delle fasi successive, perché  dopo la riconquista dell’885 i bizantini realizzano all’interno di queste cinte i loro monasteri fortificati. Il castrum di Presinace, per esempio, abbandonato dopo la caduta dei Longobardi di Benevento e risalente alla fine del VI e agli inizi del VII secolo, da quello che riferisce un atto notarile in greco che reca la data del 1015, viene trasformato in monastero fortificato.  Lo stesso atto parla anche del monastero di Sant’Anania, che probabilmente corrisponde al monastero che l’équipe del professor Roma sta scavando nel sito di Murgie di Santa Caterina a Rocca Imperiale.

L’indagine archeologica dovrà chiarire se ci troviamo in presenza solo di un monastero bizantino fortificato o anche di altre preesistenze. L’atto in greco del 1015, proveniente dall’abbazia di Cava dei Tirreni e pubblicato dal Trinchera nel suo “Syllabus graecarum membranarum”, attesta che in quell’anno il monaco Nicone e suo figlio Ursulo donano a Luca, igumeno del vicino monastero di Sant’Anania il castrum, denominato  “Rupe del cieco” (nella traduzione dal greco) perché al suo interno edifichi una chiesa dedicata a San Nicola, raduni monaci e offra rifugio ai laici dalle incursioni dei Saraceni. Le indagini archeologiche a Presinace, come riferisce Roma nel testo “I Longobardi del Sud”, hanno messo in luce in effetti la presenza, all’interno della cinta, di un edificio di culto monoabsidato e  a navata unica. Il confronto dei dati toponomastici citati nell’atto del 1015 con quelli dell’Istituto geografico militare ha permesso di identificare la postazione fortificata, indicata nell’atto, con il sito di Presinace. Il collegamento quindi con Presinace (il sito archeologico delle Murgie è localizzato proprio di fronte), il tipo di insediamento emerso, i riscontri toponomastici, hanno consentito di individuare proprio a Rocca Imperiale il probabile monastero di Sant’Anania. 

Il monastero, che viene occupato in seguito – al pari di quello di Presinace – dai Normanni, come attesta la ricca documentazione archeologica, con la costruzione del castello di Rocca Imperiale nel XIII secolo viene abbandonato e la popolazione si trasferirà ai piedi del castello. Il gruppo di ricerca, impegnato dal 15 settembre scorso nella quarta campagna di scavo e ospitato dall’amministrazione comunale di Rocca Imperiale, comprende dottorandi, specializzati in archeologia, assegnisti di ricerca e laureandi, con la direzione scientifica del professor Roma e la guida della professoressa Adele Coscarella e della dottoressa Franca Papparella. Con loro anche un gruppo di operai messo a disposizione dal Consorzio di Bonifica, mentre da lunedì arriverà un gruppo di dottorandi dell’Università della California, che faranno esperienza di scavo in Italia.Gli archeologi dell’Unical hanno riportato alla luce finora parte della cinta muraria, una serie di locali, alcune sepolture vuote, la fornace e l’edificio di culto, che sorgeva direttamente sulla roccia: una tecnica di costruzione individuata anche all’interno dell’insediamento di Nocara. L’abside è rivolta ad oriente e i resti emersi indicano che l’architettura dell’edificio religioso comprendeva templon (l’architrave sorretto da colonne che divideva il presbiterio dalla parte dedicata ai fedeli) e  subsellia (i banchi per i presbiteri) e che i locali erano originariamente intonacati e dipinti.I ritrovamenti all’interno del sito ne testimoniano la ricchezza e l’intensa produttività agricola e artigianale. Sono stati rinvenuti utensili e vasellame in ceramica invetriata policroma e protomaiolica, con forme che appaiono finora uniche nel loro genere. E il sito ha restituito anche un deposito di farro e favino: una scoperta sorprendente, perché nell’area non si coltivano più questi cereali. Un campione è stato trasmesso alla Facoltà di Agraria dell’Università della Basilicata, a Potenza, perché ne estragga il dna, individui la variante e stabilisca se sia ancora possibile coltivarlo. 

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