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Le operazioni di scavo dell’Elephas Antiquus presso il Lago Cecita

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COSENZA – La notizia che l’Elephas Antiquus, ritrovato presso il Lago Cecita nel 2017, sta per tornare nel suo territorio d’appartenenza ha incontrato l’entusiasmo del mondo scientifico calabrese. Adriano Guido, docente di Paleontologia e Paleoecologia dell’Unical riferisce che, tramite il Sistema museale dell’ateneo, farà a breve richiesta al Parco della Sila per aprire una collaborazione che consenta di effettuare studi sull’esemplare di pachiderma, una volta che la sede espositiva accoglierà i reperti.

Sono numerosi i dati che l’elefante deve ancora svelare e che gli studiosi del territorio attendono di approfondire da quando la ricerca è stata affidata dalla Soprintendenza all’Università del Molise. Al professor Guido abbiamo chiesto di chiarire alcune delle circostanze che hanno condotto i reperti altrove e cosa potranno rivelare nel momento in cui i risultati delle indagini saranno resi ufficiali.

Come mai nel 2017 non sono stati coinvolti i dipartimenti universitari e i professionisti calabresi?

«Il Museo di Paleontologia dell’Unical non è stato coinvolto sin dall’inizio, in primo luogo, perché il Dipartimento e il Museo – oggi sezione di paleontologia del Sistema museale dell’università – è una realtà giovane, nata da circa un decennio e istituita dal professore Franco Russo, quindi come conoscenza sul territorio è abbastanza nuova. In questi anni abbiamo avuto molti contatti e ci stiamo facendo conoscere come istituto di tutela e valorizzazione dei beni paleontologici della Calabria. In secondo luogo, per quanto riguarda questa branca, in Soprintendenza sino ad allora non c’erano delle figure riconosciute; quindi, quando si trattava di beni paleontologici si procedeva in altro modo, magari attingendo alla conoscenza di professionisti esterni».

Adriano Guido, docente di Paleontologia
e Paleoecologia dell’Unical

Da allora, però, sono avvenuti dei cambiamenti.

«La Società paleontologica italiana (di cui il professor Guido è membro del comitato scientifico, ndr.) ha iniziato un lavoro che ha consentito di istituire delle figure riconosciute dalle Soprintendenze come referenti dei Beni paleontologici in ciascuna regione. Oggi, in Calabria ci sono io e c’è la professoressa Cinzia Marra di Reggio Calabria, afferente all’Università di Messina. Fino ad allora non c’erano queste figure e le Soprintendenze non avevano dei contatti, ma oggi abbiamo già abbiamo iniziato dei rapporti di collaborazione e stiamo strutturando un protocollo d’intesa per i beni paleontologici da estendere anche alle varie istituzioni».

Cosa raccontano di nuovo sulla Calabria i resti dell’Elephas del Lago Cecita?

«I reperti dell’Elephas Antiquus del Cecita, dal 2017, sono un po’ caduti nel dimenticatoio e ad oggi non si sa se siano stati restaurati, valorizzati o altro, dato che ancora non sono stati presentati i risultati ufficiali della ricerca. La presenza dell’Elephas non è nuova in Calabria, anche su Laino Borgo, sui reperti di pachiderma che sono stati rinvenuti anni fa, ci stiamo attivando per recuperare il resto dell’esemplare che è ancora lì e attende di essere studiato, recuperato e valorizzato. Si tratta però di un caso diverso da quello del Lago Cecita, il cui esemplare potrebbe essere stato trasportato nel luogo di rinvenimento dopo la morte. Tuttavia, non si sa nulla di certo perché mancano ancora gli studi di dettaglio. Mentre per quello di Laino Borgo è certa la condizione di fossilizzazione naturale ed è possibile che ci siano altri resti non solo dell’Elephas ma di cervus, di bison e altri organismi di cui l’area è ricchissima. La grande novità dell’elefante del Cecita è l’areale di rinvenimento e si dovrebbe capire cosa ci facesse lì. Era un’area di palude, steppa o un altro tipo di ambiente che permetteva la vita di questi animali, oppure si tratta di un trasporto successivo dell’esemplare in quel luogo?»

Quali sono le tappe successive necessarie all’approfondimento della scoperta dell’Elephas?

«Come responsabile scientifico della sezione di Paleontologia posso dire che c’è in programma di avanzare una richiesta formale all’Ente Parco nazionale della Sila per aver dei contatti con l’istituto che oggi preserva questi resti per capire come muoverci. La possibilità che a breve i resti dell’Elephas possano essere riportati in Calabria è un’ottima notizia perché ad oggi non sappiamo nulla del punto a cui siamo a livello di studi. I primi passi che si compiono solitamente sono le indagini che consentono la contestualizzazione del reperto a livello geologico, sedimentario e stratigrafico. Le domande a cui rispondere sono molte, ad esempio: questo reperto com’è stato rinvenuto? Cosa c’era di associato? C’erano degli altri fossili? Era in una condizione di fossilizzazione naturale o decontestualizzato? Cosa emerge dalle indagini chimico-fisiche? Cosa dai rilievi fotografici? E ancora, dato che un grosso mammifero come questo poteva essere oggetto di predazione da parte di altri animali, cosa ci dice a tal proposito la distribuzione dei resti nell’area del sito? Quello che è certo è che dobbiamo ricostruire tutta la sua storia».

A quanto pare, dunque, c’è ancora un mondo da svelare dietro il ritrovamento dell’Elephas.

«Presso l’Unical abbiamo le conoscenze scientifiche per tutelare e valorizzare quelli che sono in tutto e per tutto beni calabresi. Un esperto paleontologo con la collaborazione di un esperto vertebratologo (ossia un esperto in grossi vertebrati) – quale è la professoressa Marra – può capire, ad esempio, che percentuale di preservazione del fossile è ancora presente sul sito e una grande varietà di altre informazioni. Qui abbiamo delle competenze che possono contribuire, collaborando con altre figure, alla tutela e la valorizzazione di beni, i quali possono poi tornare utili a tutti, anche a livello di ricadute sociali».

Professor Guido di paleontologia, in Calabria, si parla ancora troppo poco?

«Noi abbiamo, qui in regione, uno dei siti più importanti per quanto riguarda un particolare intervallo stratigrafico, che si colloca intorno a 10 milioni di anni fa, che è il sito paleontologico di Cessaniti. Da tutto il mondo ci invidiano per la quantità di fossili, per la ricchezza, la variabilità e il tipo di preservazione presente in questo sito. Quest’anno come Museo di paleontologia abbiamo contribuito a un evento, organizzato da una società di Vibo, che riguardava la storia della Terra, parlando proprio di Cessaniti e abbiamo scoperto che neppure gli abitanti del luogo sanno dell’inestimabile patrimonio naturale sul quale camminano».

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