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Strutture murarie e terrecotte. Con quello che è emerso si potrà conoscere meglio le tre città sovrapposte: Sybaris arcaica, Thurii classica e Copia romana

di FRANCESCA CANINO

SIBARI (CS) – Gennaio 2013: un’esondazione del Crati sommerge l’area archeologica dell’antica Sibari, che in breve è ricoperta dal fango. Ottobre 2015: nell’area archeologica di Parco del Cavallo, a Sibari, i lavori per la creazione di trincee drenanti in sostituzione del sistema di emungimento dell’acqua di falda, necessarie per la protezione del sito, portano alla luce una serie di ritrovamenti che consentiranno l’acquisizione di nuove conoscenze sulle tre città sovrapposte: Sybaris arcaica, Thurii classica e Copia romana.

Strutture murarie e terrecotte architettoniche di grande importanza sono emerse nel Parco del Cavallo in seguito alle indagini geofisiche, ai carotaggi e all’accurata pulizia dal fango depositatosi durante l’esondazione di tre anni fa. Le evidenze archeologiche sono state scoperte sui lati delle “plateiai”, le antiche strade maggiori che rispettano l’impianto viario ippodameo, il reticolo viario progettato da Ippodamo di Mileto intorno alla 440 a.C.

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Se finora era rimasto sconosciuto l’assetto topografico della Sybaris arcaica, situato in profondità rispetto all’impianto thurino/copiense, i recenti ritrovamenti costituiscono delle utili informazioni sull’antica Sibari e aprono nuove prospettive di ricerca, sia a livello locale e sia in relazione ai rapporti politici e culturali delle poleis magno-greche con la madrepatria.

Ma come si è pervenuti al ritrovamento e cosa è emerso? Alessandro D’Alessio, oggi soprintendente speciale per il Colosseo e al tempo degli scavi funzionario della soprintendenza archeologica della Calabria, insieme a Simone Marino, funzionario soprintendenza archeologia Calabria e ad Adolfo Tosti, collaboratore della soprintendenza archeologia Calabria, ha seguito e coordinato i lavori per la realizzazione della nuova condotta drenante. Durante la costruzione di alcuni pozzetti «sono venute improvvisamente alla luce – racconta D’Alessio – delle strutture murarie sulla linea di mezzeria della prima plateia, in particolare la facciavista di un primo muro a secco, costituito da tre filari sovrapposti di blocco di pietra calcarea, poggianti su una risega che costituisce lo zoccolo di un edificio, di cui al momento non possiamo definire né le dimensioni, né le funzioni».

I materiali dei ritrovamenti risalgono all’età arcaica. Poco più a Sud, in un altro scavo per l’apertura di un pozzetto, sono emersi i resti di una seconda struttura realizzata con grandi pietre di fiume. «Fra i ritrovamenti più significati – continua D’Alessio – deve essere annoverato quello costituito da numerose terrecotte architettoniche, riferibili al tetto di un edificio verosimilmente di culto. Al di sotto della seconda plateia sono stati rinvenuti altre strutture murarie e materiali di età arcaica, ipoteticamente riferibili a elementi di fregio, con raffigurazione scolpita di processione/danza rituale, reimpiegati in età romana nella costruzione dell’Emiciclo-Teatro».

Decine e decine di frammenti, dunque, ma anche elementi interi di sime e lastre di rivestimento in terracotta decorata a stampo e policroma che arricchiscono, ora, la sfera di conoscenze non solo sulla produzione coroplastica di una tra le più potenti poleis della Magna Grecia, ma anche sulla produzione di genere in ambito acheo e magno-greca (Crotone, Kaulonia, Metaponto, Poseidonia). Si potrà, ora, fare una comparazione con alcuni monumenti della madrepatria, come Olimpia e Delfi, poiché alcuni stilemi pare siano simili a quelli in uso nelle due città greche. «Gli elementi trovati si riferiscono sia a sime rampanti, come si può ammirare dalle foto, sia a lastre o cassette di rivestimento – prosegue D’Alessio – che rimandano ad altre produzioni di ambito acheo-coloniale. Molti pezzi recano sul retro segni alfabetici, ma anche di altro genere, e appartengono alla copertura, con ogni probabilità, di un edificio di culto abbattuto intorno 510 a.C. L’importanza della scoperta risiede nella possibilità di ricostruire il tetto e l’edificio, visto che ad oggi le nostre conoscenze sulla decorazione architettonica, e quindi in parte sull’architettura di età arcaica a Sibari e nella Sibaritide, consistevano in un unico frammento di sima trovato nel 1972 al Parco del Cavallo e ai pochi frustuli provenienti dal santuario di Timpone della Motta a Francavilla Marittima e da altri siti minori».

I reperti emersi nel mese di ottobre scorso sono ora custoditi nel Museo di Sibari, sono stati puliti e sono oggetto di studio da parte degli archeologi. «Voglio ribadire l’importanza della scoperta di un edificio – conclude D’Alessio – che potrà darci una maggiore visione della struttura arcaica della città». Sarebbe auspicabile, oggi, fare altre campagne di scavo sull’area, intercettando i finanziamenti necessari per far riaffiorare il glorioso passato di una città entrata ormai nel mito.

Enorme è la strada principale al centro del Parco archeologico e rende l’idea di quale grande metropoli fosse Sibari 2600 anni fa, infatti, val la pena ricordare che dei 60 ettari circa su cui si estendeva la città, solo mezzo ettaro è stato finora esplorato. Chissà quanti altri tesori sono ancora custoditi dagli aranceti della Piana! Tenere vivo il ricordo di quella città e continuare gli scavi e gli studi archeologici rappresenta un dovere per tutti noi.

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