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Enzo Lo Giudice e Antonio Di Pietro

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PAOLA (COSENZA) – Oggi, 2 settembre, la Città di San Francesco rende onore a uno dei suoi figli più illustri: Enzo Lo Giudice, comunista, avvocato insigne, giurista appassionato e idealista che durante “Mani Pulite” difese a spada tratta Bettino Craxi, la “giustizia” e il “garantismo”.

Enzo Lo Giudice, deceduto il 2 settembre del 2014, era in prima linea e contro tutti in quelle aule di udienza, a Milano, dove Piercamillo Davigo, Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo scatenarono una offensiva giudiziaria storica, senza precedenti in Italia, che rappresentò anche e soprattutto un “processo mediatico”, meglio noto come “Mani Pulite”.

Lo Giudice, in quel tempo, ma anche nei decenni successivi e fino alla sua morte, rappresentò dentro quelle aule di Tribunale, la grande Avvocatura italiana e portò alto il nome di Paola.

Era nato il 16 agosto del 1934. Sempre attento alla giustizia sociale, negli anni ‘50 entrò nel Psi e fondò in Calabria il Psiup e il periodico “Prospettiva socialista”. Protagonista della storia del ‘68, tra le fila dei marxisti-leninisti, in questo periodo Lo Giudice divenne dirigente nazionale dell’Unione dei comunisti italiani e poi membro dell’ufficio politico del Pci.

Fu un grande avvocato che non guardò alle parcelle, aiutando chi ne aveva bisogno e prendendo posizione a favore delle vittime, anche sui mass media. Diverse le intitolazioni a suo nome in varie realtà, tra cui una strada posta all’ingresso della Cittadella giudiziaria di Paola, sua città di origine.

Così l’avvocato Lo Giudice scrisse parlando di “Mani Pulite”: «C’era la grossa aggressione propagandistica determinata dalla sinergia tra la stampa, la televisione e le manette per demonizzare il nemico. Badi bene, coloro che erano indagati non erano visti come inquisiti ma come nemici dopo di che si aveva la condanna pubblica e generalizzata nel paese prima ancora del processo. Questa condanna pubblica diventava talmente forte che nessun giudice avrebbe avuto il coraggio di scardinarla. Così il cerchio si chiudeva e l’accanimento giudiziario era concluso».

Numerose le sue partecipazioni a talk show e vari programmi politici su reti Rai e Mediaset sul tema di “mani pulite” e sul processo a Bettino Craxi. «Il diritto si deve fondare su valori universali, non possono esistere le correnti nella magistratura, quindi non può esistere il Consiglio superiore della Magistratura», sottolineò nel salotto-tv di Michele Santoro.

A “Fatti e misfatti”, invece, spiegò che: «La verità storica è sempre più forte delle false verità che invece vengono sancite sul piano giudiziario, oggi la tesi che noi abbiamo invano sostenuto nel primo grado trionfa sul piano della verità storica, mentre è rimasta sconfitta sul piano del rapporto processuale».

E ancora: «C’è un conflitto certo, sicuro all’interno della struttura economica e nella sovrastruttura politica del nostro paese. Gravissimo. L’ordine giudiziario doveva mantenersi neutrale rispetto a questo. Poteva mantenersi neutrale per dare una valenza universale alle norma giuridica».

Su un «clamoroso» documento del 1975, stilato a Napoli nell’ambito del secondo congresso nazionale di “Magistratura democratica”, dichiarò: «Scrivono che, siccome non è possibile fare la rivoluzione armata, arriveremo al potere attraverso la lunga marcia attraverso le istituzioni. Lì si consolidarono alcuni correnti della magistratura che poi andarono a utilizzare in maniera strumentale il processo per fini che non erano di giustizia».

A “Porta a Porta” affermò: «Col nuovo sistema processuale, che peraltro ormai è stato accantonato totalmente perché a Milano si è processato il nuovo processo penale, raccogliendo indicazioni provenienti da una parte ben precisa di politici che non avevano visto di buon grado l’enorme salto di qualità che aveva fatto la cultura giuridica del nostro paese…». E aggiunse: «Si è trasformato in reato sommandolo ad un altro reato simile e sommandolo ancora ad un altro reato simile, quello dell’illecito finanziamento ai partiti, in un fenomeno di corruzione della Pubblica amministrazione per cui nel processo penale non andavamo più a trattare il fatto-reato, ma la storia d’Italia degli ultimi anni e li non potevano vincere, dovevi per forza perdere».

Aggiunse, ancora: «Si sta instaurando un potere assoluto nel nostro paese attraverso un rapporto totalitario di un giudice, che ancora giudice non, nei confronti di chi gli capita tra le mani». Sempre da Bruno Vespa, dichiarò: «Non è possibile che la magistratura chieda al mondo di sospendere il giudizio politico su un uomo politico, su uno statista, in attesa che decida la magistratura…».

E infine una sua profonda riflessione affidata alle nuove generazioni: «Mentre mi scontravo insieme ad altri duramente nei luoghi della politica capii che il nostro paese era nelle mani delle cattedrali dell’ignoranza, dell’arroganza e della repressione. Abbiamo voluto opporre a quelle forze dell’oscurantismo le deboli energie di giovani armati solamente del loro entusiasmo e dell’illusione che i grandi valori della libertà e della giustizia sociale potessero bastare. La nobiltà della causa disarmata ci ha condotto alla sconfitta e la grande delusione invece di indebolire la voglia di combattere l’ingiustizia sociale ci ha portato a continuare la battaglia nelle aule di giustizia, dove abbiamo conosciuto il potente mostro dell’ordine giudiziario. È triste morire con il grande rimpianto di aver perduto la grande battaglia per la libertà. Vorrei non sentirmi solo in questo momento. Ma oggi, è difficile invocare la speranza. Chi raccoglierà questa eredità?».

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