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«C’è Pierino Polillo ca passa du u Renzelli». Il verso di una canzone di Enrico Granafei lo aveva elevato a riferimento cardinale di un bar che si identifica con la città vecchia, ma da oggi quel totem non è più.

Pietro Polillo, per gli amici Pierino, è andato oltre verso mezzogiorno, all’età di settant’anni. Abilissimo restauratore, già dipendente della Soprintendenza, era vicino ai circoli culturali della città e del centro storico, il suo luogo dell’anima.

Uomo di pensiero, ma soprattutto d’azione, era noto per il suo impegno politico. Aveva scelto la destra fin da giovanissimo, aderendo al Msi per incarnarne quelle istanze sociali che lo hanno visto schierarsi, nel tempo, sempre dalla parte dei deboli e degli umili.

Dotato di grande coraggio fisico, a dispetto di una mole non proprio imponente, nei turbolenti anni Settanta era un riferimento sicuro per i camerati impegnati negli scontri di piazza con i compagni. Per i giovani che si avvicinavano a quel partito, il suo nome rappresentava una sorta di biglietto da visita. E di scudo. «Lui è Pierino, se hai bisogno conta su di lui».

Ha vissuto la sua epopea politica da puro, generoso e disinteressato. Al partito ha dato praticamente tutto, senza ricevere granché in cambio.

Negli anni successivi, a clima ormai pacificato, è stato più volte battagliero consigliere di circoscrizione per Alleanza nazionale, sempre nel suo centro storico, tentando anche la scalata alla presidenza: mancò sempre la fortuna, mai il valore.

Se n’è andato conservando lo stile che lo ha contraddistinto in vita: seduto al tavolino di un bar con a fianco le sue adorate cagnette segnate dal tempo e dalle sofferenze, Peppa e Ambra, che si sono messe ad abbaiare forte, più forte che potevano per richiamare l’attenzione dei passanti finché uno di questi si è accorto che il loro padrone non respirava più.

È morto come i poeti Pietro Polillo detto Pierino, e con lui se ne va anche un altro pezzo di poesia del Novecento.

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