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Il complesso musicale dei “Needles” (1967) nel libro di Amato

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TEMPO di presentazioni per “Cosentini in bianco e nero 3 – i luoghi, gli uomini e le cose”, terzo capitolo della saga di Rino Amato che raccoglie e mette a sistema la storia della città attraverso scatti fotografici rappresentativi di più epoche. 

Una fortunata serie di libri di successo quella di “Cosentini in bianco e nero” nate grazie al nostro Quotidiano. Infatti, l’idea originaria fu proposta da Rino Amato al direttore dell’epoca, Ennio Simeone, che subito l’accolse di buon grado. Ogni giorno si pubblicava una foto. Il successo fu enorme. La catena di spedizione fu molto coinvolgente. Le foto arrivavano per lettera, a mano, nelle prime mail. I redattori erano assediati dalle raccomandazioni  per i tempi di pubblicazione. Ormai era tempo di raccogliere il prezioso archivio in un volume. E adesso siamo arrivati al terzo capitolo.

Il terzo volume, quello che raccoglie foto che vanno dal 1964 al 1980, sarà presentato oggi pomeriggio alle 18 nel complesso monumentale di San Domenico. Con l’autore dialogheranno lo storico Franco Michele Greco, l’antropologo Mauro Francesco Minervino e la giornalista Elena Scrivano. Il coordinamento sarà affidato ad Antonietta Cozza, responsabile ufficio stampa della “Luigi Pellegrini editore”, casa editrice del libro.  

La formula è quella già ampiamente collaudata nei primi due capitoli e che si serve di un processo di autoalimentazione scaturito dai conferimenti fotografici spontanei dei cosentini che hanno fatto, nel corso degli anni, pervenire all’autore gli scatti che ritraggono i loro genitori, i nonni, i compagni di scuola, le gite fuori porta, in un tentativo estremo di fermare il tempo e di fissare nelle immagini episodi di vita vissuta carichi di significati.

Un almanacco che ha sì il sapore della nostalgia, ma che alimenta il ricordo di un’epoca che non tornerà più e che è bene resti a futura memoria. Esigenza questa, racchiusa nell’avvertenza iniziale dello stesso Rino Amato che, da uomo di teatro, con un indovinato richiamo al drammaturgo americano David Mamet, rivela il suo amore per la fotografia: «Amo le fotografie perché restano come sono, anche se le cose cambiano».

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