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Enzo Paolini, presidente del Premio Sila

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SI AVVICINA l’edizione del Premio Sila 2021, non tenutosi nell’anno passato a causa covid. Il presidente Enzo Paolini ha tenacemente atteso la possibilità di presenze fisiche rinunciando alla modalità “da remoto”.

«Una scelta obbligata – dice – per chi intende uscire dal seminato, suscitare dibattito, richiamare il confronto a tu per tu e contemporaneamente organizzare l’insieme, per vedere cosa ne esce. Lo schermo del computer con le sue tante finestrelle, non consente ciò che invece è possibile solo con la suggestione del sagrato dove Tomaso Montanari proporrà la sua visione sulle chiese e su questa opera d’arte, che è il Duomo di Cosenza».

Presidente Paolini, quali sono i premiati di quest’anno e perché?

«La giuria avrà le sue motivazioni e le sentiremo;  io le dico la mia personale interpretazione. Allora, Nicola La Gioia con il suo libro “La città dei vivi” mette letteralmente in scena la disperazione di un mondo non inventato, non lontano da noi, ed al quale restiamo indifferenti o spaventati, e lui ci sferra un pugno. Nadeesha Uyangoda, con “L’unica persona nera nella stanza” ci restituisce, anzi ci fa sentire, il coraggio e la voglia di essere una comunità di persone e di tutti i colori. Luciana Castellina con la sua stessa esistenza ci ricorda che la sinistra non è un’icona alla quale rendere omaggio o un negozio di antiquariato dove trovare le nostalgie di un tempo andato. E’ muscoli e bellezza, qui ed ora».

Ma il mondo di oggi ha bisogno di libri?

«Io non so se ne ha bisogno. So che i libri, la carta e l’inchiostro di cui sono fatti e gli eventi, le passioni che ci sono dentro, sono il mondo. Ci sono tanti altri modi di comunicare al giorno d’oggi. E c’erano pure prima, ma ciascuno di noi, prima o poi si sofferma su una pagina e fa una piega all’angolo per non dimenticarla. E’ così dai graffiti rupestri ad oggi e non mancheranno mai autori, stampatori, rilegatori ed editori. Benemeriti, bisogno o no».

Questa edizione si svolgerà in più luoghi. Anche in Sila. E’ un omaggio alla Calabria profonda?

«Io non credo che i fondatori del ’49 avessero l’idea di istituire un evento territoriale. Al contrario avevano – secondo me – l’intenzione di richiamare l’attenzione sul fatto che da qui, da questa terra ruvida e affascinante – simbolicamente sintetizzata nel nome dell’altopiano tra i più belli del mondo – potessero partire messaggi culturali universali. Noi abbiamo avuto l’occasione di realizzare un piccolo cenacolo a Camigliatello, nella casa di un grande calabrese come Faust d’Andrea e l’abbiamo colta. Sotto gli abeti silani sentiremo le poesie di Valerio Magrelli».

Un premio interamente sostenuto da privati. Sente l’assenza delle Istituzioni?

«Affatto. Noi siamo un ente privato e non crediamo che i soldi pubblici debbano sostenere iniziative private; al contrario sono i soldi privati che – potendo – devono essere finalizzati a scopi pubblici. Se mai dovessimo avere contributi pubblici li dedicheremo a finalità istituzionali, come il rifacimento della pavimentazione di piazza dei Follari, progetto del quale ho già parlato con il sindaco Caruso, avendone l’avallo».

Pochi calabresi tra i premiati. E’ una scelta?

«Ma no. Il fatto – per me magnifico – è che la giuria non ha mai avuto pregiudiziali in un senso o nell’altro. La calabresità, come qualsiasi altra condizione umana, personale, sociale o etnica non può essere un vantaggio e neanche uno svantaggio. Il riconoscimento è veramente tale, se ti si riconosce indipendentemente da chi sei o dove sei nato, ma per ciò che dici, che scrivi o che fai. Per questo nel premio speciale la giuria ha, negli anni, spaziato in aree diverse e contaminatrici, dal diritto, alla musica, alla fotografia, al cinema. E con ciò ha reso un grande omaggio alla calabresità, secondo me».

Qual è la funzione di un premio letterario?

«Quella di cambiare le cose. Vede, la politica non cambia niente, ormai non si vota più, si autonominano e sono sempre gli stessi che ci propinano sempre i soliti gargarismi inutili e demagogici, ai quali nessuno crede più. Ma una storia, una bella storia, un saggio, un esempio, sì, possono far cambiare prospettiva, possono smuovere le menti, affascinarle. E non c’è niente di più potente della forza delle idee e delle parole. Ecco qual è il senso».

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