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Battiato e Ordine in un dialogo a due sul filosofo cosentino organizzato nell’aula magna dell’Unical qualche giorno prima della rappresentazione.

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Pubblichiamo l’articolo che Nuccio Ordine – professore nell’Università della Calabria e Presidente del Centro Internazionale di Studi Telesiani, Bruniani e Campanelliani – scrisse sul nostro giornale nel 2011 in occasione della prima dell’opera lirica dedicata a Bernardino Telesio da Franco Battiato. Grazie a Telesio, nacque una grande amicizia tra il musicista e il professore coltivata in numerosi incontri a Catania e nella Milanesiana diretta dalla comune amica Elisabetta Sgarbi.


Franco Battiato è riuscito a far rivivere il pensiero del grande filosofo cosentino. Non solo nella splendida musica che venerdì sera ha ammaliato il pubblico presente nel Teatro Rendano alla prima rappresentazione del suo “Telesio”.

Ma anche nel movimento dei corpi, nella modulazione delle voci, nel gioco delle ombre e delle luci, nel lento fluire delle immagini sceniche. Lo spettacolo della natura, tra sogno e realtà, si è dispiegato sul palcoscenico in tutta la sua potenza. Battiato – con la sensibilità di un grande artista capace di dominare diversi linguaggi – è riuscito a dire l’indicibile, a mostrare l’invisibile, facendo vibrare le corde più intime degli spettatori.

Non era facile raccontare il De rerum natura. Non era facile districarsi nelle complicate interpretazioni di un trattato che per la prima volta – come a più riprese nel libretto di Manlio Sgalambro è stato ricordato – sanciva il diritto di spiegare la natura solo attraverso se stessa. Ma Battiato ha voluto insistere soprattutto sull’essenza del pensiero, sulla forza misteriosa che lo anima e che lo nutre. Perché solo al pensiero è dato volare oltre ogni limite, oltre ogni confine, oltre ogni ostacolo materiale.

Lo spettacolo della natura diventa, nella poetica interpretazione del Telesio di Battiato, un immenso palcoscenico dove i contrari si incontrano e si scontrano. Non solo, naturalmente, il caldo e il freddo. Ma anche il passato e il presente, la materia e l’etereo, la vita e la morte, l’umano e il divino. Un continuo movimento senza fine.

E che ha trovato, splendidamente, nel ritmo lento e avvolgente della danza la sua più efficace rappresentazione. Attraverso il farsi e il disfarsi delle figure, l’oscillare delle braccia, l’ondeggiare delle gambe, le geometriche torsioni dei corpi hanno animato l’infaticabile flusso delle continue metamorfosi e il gioco incessante delle aggregazioni e delle disgregazioni. Perché la vita e la morte non sono altro che trasformazioni. Se qui una cosa si dissolve, là ne nasce un’altra. E, a pensarci bene, anche la stessa cosa è solo apparentemente sempre la stessa. Perché, nel tempo, nessuna cosa è mai la stessa: ciò che era ieri non è più oggi e, probabilmente, sarà altro domani.

Battiato ci invita a vedere ciò che il fluire delle cose non ci permette di vedere. La natura è uno spettacolo in sé: le dolcezze dei tramonti e degli arcobaleni ma anche la forza travolgente dello tsunami, i bisogni del corpo e gli aneliti del pensiero, la necessità della solitudine e l’imprescindibilità dell’altro. Il palcoscenico della vita e il palcoscenico dell’arte sembrano essere entrambi teatro di scontri, di contraddizioni, di un perenne andare e venire tra realtà e finzione, esistenza e sogno.

Il Telesio di Battiato diventa così un poeta che racconta la sua ammirazione e il suo amore per la natura. Le stelle luccicanti, i venti, i fulmini, i mari, i colori, i sapori, rappresentano, nello stesso tempo, la varietà e l’uniformità del commovente spettacolo cosmico. Uno spettacolo che il filosofo vuole indagare, capire, con i sensi e con il pensiero.

Questo è ciò che di Telesio interessa a Battiato. Nel libretto e nell’opera l’orizzonte storico-scientifico resta sullo sfondo. Viene evocato, delicatamente, attraverso la forza allusiva dell’immagine. Si pensi, per esempio, alla proiezione sullo schermo di materiali provenienti dal Cern di Ginevra, che mi hanno fatto ricordare alcune poetiche immagini cosmiche di Stanley Kubrick: il loro gioco combinatorio ha incoraggiato, probabilmente, il pubblico a intravedere nello sforzo telesiano di squarciare i veli della natura le radici di una curiositas scientifica che è approdata nel corso dei secoli agli esperimenti più avanzati della fisica delle particelle.

Battiato, insomma, ha provato a raccontare soprattutto l’uomo, le sue tenerezze, le sue debolezze, le sue paure, i suoi fantasmi, i suoi entusiasmi, i suoi dubbi, le sue perplessità. Le sue contraddizioni. Un racconto in cui non mancano i riferimenti storici, come nel caso della famosa lettera sulla censura dei cosentini. Ma a Battiato interessava cogliere il filosofo nell’atto di cogitare, di pensare. Così ha deciso di immaginarlo nelle sue riflessioni più intime.

Avevo già previsto nel luglio dello scorso anno – durante la cerimonia della firma del contratto – che l’incontro tra i due eretici (il filosofo e il musicista) avrebbe dato ottimi frutti. Perché il Telesio di Battiato è oggi controcorrente, come controcorrente era il De rerum natura nel Cinquecento. Se Telesio aveva sperimentato una nuova maniera di indagare la natura (liberandola dalle catene dei libri sacri), venerdì sera Battiato ha sperimentato una nuova maniera di costruire un’opera musicale.

Se nessuno prima di Telesio (lo riconobbe persino Bacone che, pur non risparmiandogli severe critiche, non esitò a definirlo il primo degli uomini nuovi) aveva insistito per indagare la natura «iuxta propria principia», nessuno prima di Battiato aveva pensato di applicare la tecnica degli ologrammi a un’opera musicale. Telesio era andato incontro ai rischi dell’Inquisizione con coraggio. Franco, senza mettere in pericolo la sua vita, ha tentato una nuova strada in un mondo (quello dello spettacolo) dove normalmente si inseguono i modelli di successo.

Il caloroso gradimento di venerdì sera fa ben sperare per un Telesio che, forte della sensibilità e della cultura di un grande musicista, ha tutte le potenzialità per intraprendere un lungo viaggio italiano ed europeo. Forse avrei voluto – di questo ho discusso lungamente con Franco Battiato nella sua splendida casa di Milo e in tantissime conversazioni telefoniche – un’attenzione maggiore per il Telesio materialista. Ma poi, nel vedere l’opera, sono stato rapito anch’io dalla magia dello spettacolo cosmico e dalla commovente messa in scena dell’avventura della conoscenza. Bisogna prendere atto che veramente – dopo essere stato «calato nella tomba storico filosofica» – con quest’opera lirica Telesio, a distanza di secoli e per merito di Franco Battiato e di Manlio Sgalambro, ha ritrovato una nuova vita nell’universale «spirito della musica».

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