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Sarà diretto da Francesco Colella e sarù incentrato su Zio Vanja: «Čechov ha creato dei personaggi o dei tipi umani che ci somigliano molto»

CASTROVILLARI (CS) – Primavera dei Teatri per la XVII edizione conferma la sua vocazione formativa proponendo il laboratorio per attori curato da Francesco Colella intorno allo Zio Vanja, una delle maggiori opere di Anton Čechov. Il festival sui nuovi linguaggi della scena contemporanea organizzato da Scena Verticale, si terrà a Castrovillari dal 29 maggio al 5 giugno. Premio Ubu nel 2010 come migliore attore non protagonista ne “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare per la regia di Luca Ronconi e “Dettagli” di Lars Norén per la regia di Carmelo Rifici, cofondatore della compagnia “Teatrodilina”, Collella terrà al Castello Aragonese dall’1 al 4 giugno, il laboratorio “Incontro con Vanja”. Le iscrizioni saranno aperte fino al 25 maggio. Info e prenotazioni su www.primaveradeiteatri.it.

“La scelta di zio Vanja, nonché di Čechov – racconta Colella-  mi sembra molto più vicina a quello che può essere un approccio alla recitazione. Čechov ha creato dei personaggi o dei tipi umani che ci somigliano molto. È gente che si parla, che cerca in qualche modo di capirsi pur non capendosi, tutte queste dinamiche mi sembravano le più belle da esplorare e soprattutto hanno una loro apparente semplicità, o meglio riusciamo a vederle in una maniera più autentica. Ci sono molti testi teatrali che vanno decifrati dal punto di vista letterario prima che riescano a rivelare il motore teatrale che hanno dentro, invece in Čechov questo si rivela da subito.”

Come pensa di lavorare su “Zio Vanja”, quale sarà il percorso?

“In maniera molto genuina: chiedo ai partecipanti di imparare delle scene o delle battute a memoria. La prima fase è di conoscenza del testo, nella seconda invito le persone a stare in scena con la battuta che hanno scelto. Da quel momento in poi posso vedere le potenzialità della persona che sta recitando il testo, come riesce ad espandere la sua comunicazione in relazione al personaggio che interpreta. Lavoriamo, come dire, “a specchio”: è essenziale avere un occhio esterno, perché serve a vedere certi manierismi, che a volte sono persino tecniche sopraffine, ma del tutto inutili quando le usiamo per mascherarci, anziché per scoprirci realmente”. 

Cosa hanno da dirci i personaggi di Čechov?

“Muovono delle dinamiche interiori, bisogna avvicinarvisi senza forzature o alterazioni. Non si può recitare Čechov con un’impostazione teatrale fortemente tecnica, bisogna far vedere quello che c’è dentro, che tipo di umanità si sprigiona attraverso quei personaggi. Personalmente non adopero tecniche particolari, io stesso come attore non ho una tecnica particolare. O meglio, ne ho elaborata nel tempo una personale, ma non credo che possa essere consegnata a qualcun altro, perché è il risultato di anni e di incontri personalissimi. Ognuno ha la sua maniera di tirar fuori le proprie potenzialità, basta avere un po’ di osservazione”.

Sarà anche in scena con “Gli uccelli migratori”, spettacolo scritto e diretto da Francesco Lagi, dove dividerà il palco con Anna Bellato, Leonardo Maddalena e Mariano Pirrello. Un lavoro che  sembrerebbe avere qualcosa di cechoviano…

“Sì, forse non è un caso che mi sia venuto in mente zio Vanja, perché il teatro che stiamo coltivando somiglia a quello di Čechov. Anche se non vuole lontanamente paragonarsi al suo, ovviamente.  Diciamo che Čechov è un modello: il viaggiare in equilibrio tra il riso e la commozione, grazie a dei personaggi fortemente emotivi, le cui fragilità si leggono perfettamente sui loro volti.  Ho scelto di lavorare su Zio Vanja perché credo che oggi vada riscoperta una grammatica dei sentimenti, e che debbano riscoprirla soprattutto gli attori. Siamo stati  abituati a fare un tipo di teatro intellettuale e letterario, snobbando le emozioni, perché considerate “basse” o di facile consumo. Invece esistono sentimenti ed emozioni raffinatissime che si possono comunicare. Vorrei ristabilire una grammatica di comunicazione in cui sia visibile cosa un attore o un personaggio desidera, come ama, perché ama, perché vale la pena che viva, verso cosa sta combattendo, contro chi. Sono cose talmente ovvie che poi alla fine non si esplorano più. E a teatro, spesso, diventano incomprensibili per il pubblico. Mi piace creare delle storie semplici per poi complicare quelle che sono le dinamiche dei sentimenti. È il nostro lavoro ed era anche quello che faceva Čechov, logicamente a livelli enormemente più alti, più ricchi e più belli”. 

E’ un discorso che vale solo per l’attore?

“Parlo di “attore” perché dobbiamo avere a che fare con il pubblico. Perché agganciare il pubblico dovrebbe essere una cosa che lasciamo solo a Zelig o al cabaret? Agganciare il pubblico vuol dire incollarlo a te. Riuscire a sollecitare la sua emozionalità, il suo desiderio di guardare dentro la sua vita. La cosa migliore che può accadere a uno spettatore non è di assistere alla bravura dell’attore, ma di essere riuscito anche solo per un istante a puntare lo sguardo su se stesso, sulla propria vita, attraverso la storia a cui ha assistito. Questo è il mio obiettivo e su questo intendo lavorare. Non è facile mostrare quello che si è, perché abbiamo un immagine di noi stessi molto diversa da ciò che siamo realmente. Gli attori soprattutto sono esseri che, quando si mettono in gioco, sono molto fragili, e a causa di questa fragilità tendono a mascherarsi. Come? Con un tono di voce, una presenza, una postura, un qualcosa che in qualche modo gli dia un’identità. O almeno così credono. L’identità, quella vera, si nasconde invece in cose molto più semplici, più piccole, ma che sono anche molto più potenti. È questo, ad esempio, il segreto dei personaggi di Čechov. Ed è proprio questo aspetto che mi piace esplorare, anche nel mio percorso d’attore. Io non considero un seminario come un corso di pedagogia teatrale, perché non sono un pedagogo. Lo considero piuttosto un confronto tra attori, in cui mi prendo la responsabilità dell’osservatore, della persona che sollecita e tira fuori certe cose. Bisogna però ammettere che il grosso lo fanno i testi di Čechov, perché i suoi personaggi hanno qualcosa di molto contagioso”.

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