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Toni Servillo all'Unical insieme a Stefano De Matteis

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L’attore, rispondendo alle domande di Stefano De Matteis, ha raccontato la sua esperienza spiegando alcune regole del mestiere

RENDE (COSENZA) – Un Toni Servillo che parla per quasi un’ora, stimolato dalle domande di Stefano De Matteis. Davanti c’è una platea di studenti, curiosi, appassionati. Lo scenario è quello del Tau dell’Unical dove l’intervento di uno degli attori simbolo del nostro cinema e del nostro teatro ha concluso la tre giorni di seminari e dibattiti organizzata dal Cams dal titolo “Pensare l’attore, tra la scena e lo schermo”, al quale hanno partecipato diversi studiosi ed esperti del settore e, oltre a Servillo, hanno portato il loro contributo anche protagonisti della scena come Marco Paolini e Roberto Andò.

Camicia bianca con maniche arrotolate e sigaro spento tra le dita, il protagonista di “La grande bellezza” ha raccontato la sua esperienza sul lavoro dell’attore e sul rapporto che questo deve avere con il testo con cui si confronta e con le emozioni che deve trasmettere al pubblico. Pubblico che ieri al Tau ha anche assistito, prima dell’intervento di Servillo, a un documentario, girato dagli studenti del Dams, in cui lo stesso Servillo si vedeva all’opera con giovani attori ai quali venivano spiegati personaggi di Moliere e di Goldoni, similiarità e differenze, che non solo rispecchiavano la diversità dei due autori, ma anche di due paesi, Francia e Italia e, di conseguenza, di due mentalità.

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«Quando un attore decide di mettere in scena un testo – ha esordito Servillo – mette veramente in movimento un universo culturale. Personalmente trovo più interessanti quegli attori che riescono a permeare il testo attraverso il proprio bagaglio culturale per poi liberarlo davanti al pubblico come un animale che esce dalla gabbia. Mi piacciono quegli attori che si pongono nei confronti del testo chiedendosi chi sono nei confronti di esso, quali cose il testo ha provocato nella sua epoca quando è stato rappresentato e cosa può provocare in questa».

Il teatro, secondo Servillo, raggiunge il suo apice nel confronto tra due elementi, consapevolezza ed espressione, dal cui contrasto, dal cui confronto accade quel fenomeno che non riguarda solo gli attori sul palco, ma la sala intera. E che deve guardarsi dai suoi più grandi nemici: la routine, il mero esercizio intellettuale, l’autoreferenzialità. «C’è un mio amico filosofo – ha raccontato l’attore napoletano – che un giorno mi ha detto: che vengo a fare a teatro? Vi divertite solo voi sul palco».

Il pubblico, insomma, è un elemento essenziale. Al quale l’attore deve far arrivare un messaggio. Col quale l’attore a teatro ha un rapporto diretto. Non come al cinema. «Di teatro parlo più volentieri rispetto al cinema. Ho sempre considerato il teatro come qualcosa che riguarda gli attori. Il cinema è una cosa che riguarda più i registi. Il teatro è una questione di tempi e di spazi, il regista ha un rapporto col film simile a quello che uno scrittore ha col suo romanzo. In un certo senso, il regista abusa degli attori, puoi recitare per tantissimo tempo ma alla fine può darsi che farà vedere solo un particolare».

Chiusura con i segreti del mestiere: come ci si cala ogni sera in un personaggio? «Bisogna mettere da parte tutte le altre cose della vita, è una rinuncia che apre la possibilità al fatto che tu possa donarti. Non è automatico, dipende dalla disciplina che uno si dà».

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