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Leo Gullotta in "Bartleby lo scrivano"

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COSENZA – «E’ un personaggio che scuote la coscienza dello spettatore, questo Bartleby. Che non dà risposte, ma che pone domande”. Parole di Leo Gullotta, protagonista a teatro di “Bartleby lo scrivano”, per la regia di Emanuele Gamba, stasera al teatro Grandinetti a Lamezia Terme, domani al teatro Apollo a Crotone e sabato e domenica al teatro Rendano a Cosenza, in quest’ultimo caso nella rassegna curata da L’Altro Teatro in collaborazione col Comune. Un testo tratto da un racconto di Herman Melville «che avranno letto molti – continua Gullotta – ma che ad uno spettatore di oggi risulterà parlare dei nostri tempi».

E questa attualità è merito di Melville, del vostro adattamento, di voi attori?

«Più che merito parlerei di colpa dei tempi. Si parla di uno studio di avvocati del 1900 dove la vita è grigia, si pensa solo a correre, correre, correre, lavorare, lavorare, lavorare proprio, e stranamente, come ai giorni nostri».

E’ più una commedia o un dramma?

«Io la definisco una commedia drammatica. C’è un’ironia che parla alla nostra parte conformista ma la scuote profondamente fino a far porre un interrogativo martellante: sei stato capace nella tua vita di fare scelte profonde?».

E lei avvicinandosi a questo personaggio se l’è posta questa domanda?

«Ma certo. Faccio questo mestiere da 54 anni e ne ho 76. Ma divido la vita dal lavoro. Il personaggio si interpreta, Leo però è molto vicino a questo personaggio, mi piace molto, me lo sento addosso. E’ una figura anomala in un sistema che marcia a senso unico e opera una scelta chiara».

Bartleby potrebbe essere avvicinato a qualche personaggio di Pirandello?

«Direi di no. Melville è Melville, Pirandello è Pirandello. E’ una figura curiosa che non si avvicina a nessun altra figura drammaturgica. Il suo agire commuove e fa uscire i fantasmi della nostra coscienza».

E che viene citato spesso per la sua battuta più famosa.

«Esatto. Avrei preferenza di no. E’ un uomo che appare prima molto paziente e poi molto isolato».

Questo spettacolo aveva debuttato al Napoli Teatro festival nel 2019 e poi ha ripreso la tournèe con grande vigore dopo lo sto per la pandemia.

«Da nord a sud e, devo dire, con grandissimo successo. Il pubblico vuole esserci, per stare insieme, per riflettere. Diciamo che abbiamo ricominciato da capo, con regole che ancora oggi sono in vigore, ma cinema e teatri sono i luoghi più sicuri».

Cosa le fa venire in mente la Calabria?

«Che è una regione nella quale vengo sempre con grande piacere. Io sono di Catania e nei luoghi dove c’è il mare trovo sempre cose che mi appartengono».

Progetti futuri?

«Un film sull’Alzhaimer. Poi c’è un progetto teatrale importante e che è in via di definizione. Quindi il ritorno sul set per la serie Incastrati».

Cosa la guida nelle scelte sul lavoro?

«Quello che mi ha sempre guidato. Io sono un interprete, sono un attore. Il teatro o il cinema o il doppiaggio sono tutte cose che l’attore conosce per studio. Diciamo che cerco di stare in progetti stimolanti. La serie “Incastrati”, per esempio: Ficarra e Picone sono due persone che stimo per la loro intelligenza, i loro racconti riflettono sempre una situazione sociale. Fanno pensare e far pensare con un sorriso è una cosa molto importante»

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