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Giampiero Boniperti

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di STEFANO OROFINO

«Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta». Questa la famosa, mitica frase, simbolo della juventinità, attribuita al centravanti, poi capitano, poi consigliere, poi amministratore delegato, poi presidente, poi nuovamente amministratore delegato, infine presidente onorario della Juventus, il geometra Giampiero Boniperti da Barengo (Novara), dove il “presidentissimo” era nato il 4 luglio 1928.

Una frase che ha sempre avuto per me ha sempre solo ed esclusivamente il seguente significato: la Juventus, quando entra in campo, non può accontentarsi di fare bella figura, o di ottenere un buon pareggio, ma deve giocare sempre per ottenere l’obiettivo massimo, la vittoria. In altri termini, non credo che queste parole possano essere assunte a motto del tifoso, per il quale conta solo se la sua squadra vince.

Un’osservazione che mi permetto di fare anche in relazione alla stretta attualità, visti i risultati raggiunti quest’anno dalla Vecchia Signora. A tal proposito, voglio qui tenere presente un’altra frase pronunciata dallo stesso presidentissimo bianconero, ma molto meno famosa, pronunciata in un momento difficile per la squadra, all’epoca del suo ritorno come amministratore delegato, in un’intervista anch’essa pubblicata su “Hurrà Juventus”, nel gennaio 1993: «è troppo facile fare i tifosi solo quando si vince».

Tuttavia, oggi a me piace soprattutto ricordare delle altre parole di Boniperti, scritte sempre su “Hurrà Juventus”, organo ufficiale della società, in un articolo da lui stesso firmato a conclusione della stagione 1962-63. Il capitano si era ritirato da campione d’Italia nel 1961, e nella stagione 1961-62 la Juventus si era piazzata dodicesima (!) il peggiore risultato in Serie A della storia bianconera.

Nel 1962-63 la squadra si era subito ripresa, concludendo il girone d’andata in testa alla classifica, quindi da “campione d’inverno”, mentre nel girone di ritorno era stata poi scavalcata dall’Inter. Ecco, virgolettato, il commento del trentacinquenne Boniperti all’esito del campionato, nell’articolo summenzionato: «Ho constatato che tutto è sempre stato detto e pensato all’insegna del buon senso. Ci concedemmo, sì, il sogno, a metà campionato, quando fummo campioni d’inverno. Ma sapevamo che si trattava di un sogno. Il risveglio era scontato. Lo scudetto va all’Inter. La secca sconfitta dei nerazzurri a Roma non incide né sulla loro classifica né sul loro merito. Il nostro pareggio a Mantova ha dato ai nerazzurri anche la certezza matematica dello scudetto. Si perde senza veleni in corpo, senza reminiscenze dolorose. Si perde per la legge dello sport, la quale sancisce, alla fine di un torneo lungo e severo come il nostro, il giusto merito del migliore».

GUARDA L’INTERVISTA A STEFANO OROFINO ALL’INDOMANI DELLA VITTORIA AL RISCHIA TUTTO

Credo che queste parole facciano capire molto più di tante altre, soprattutto ai tifosi più giovani, che vivono nel mondo di uno sport urlato e – appunto – pieno di veleni in corpo, quello che si è sempre definito lo stile Juventus, che nel suo grande campione e presidente vede non solo una delle sue massime incarnazioni, ma anche uno dei suoi più grandi “costruttori”.

Da calciatore Boniperti aveva vinto, in quindici anni di militanza in prima squadra, 5 scudetti e due Coppe Italia, giocando prima da centravanti, poi, con l’arrivo di Charles e Sivori, “retrocedendo” alla posizione di centrocampista. Ove bisogna chiarire che Boniperti non era stato un centravanti da poco, se si considera che aveva ottenuto il titolo di capocannoniere neppure ventenne, nella stagione 1947-48, unico campionato a 21 squadre della storia della serie A, e prima sua stagione da titolare con la maglia bianconera, oltre al fatto che, in un periodo in cui non esistevano le moderne coppe europee, il 21 ottobre 1953 giocò da titolare, a Wembley, in una partita che all’epoca era qualcosa di più di un’amichevole di lusso: Gran Bretagna-Resto d’Europa, incontro finito 4-4, con due reti, per il Resto d’Europa, del centravanti della Juventus e della nazionale. Con la maglia azzurra Boniperti conta solo 38 presenze, poiché le partite degli azzurri, nel secondo dopoguerra erano molto più rare rispetto ad oggi. Si è ricordato anche oggi che è tuttora l’unico giocatore ad aver segnato con la maglia dell’Italia nel corso di tre decenni diversi (ultima presenza e rete, tra l’altro, nel giorno dell’esordio in azzurro di Trapattoni, per le stranissime coincidenze della vita).

Innumerevoli sono poi gli episodi curiosi che ricordano la sua carriera da calciatore, che ne dimostrano l’astuzia, ma che al tempo stesso attestano quanto sia davvero lontano il calcio dell’epoca da quello odierno. Sarebbe troppo lungo raccontare nel dettaglio gli episodi, ma qui ne elenco qualcuno, che i più giovani, se interessati, possono andare ad approfondire: la storia delle mucche gravide dell’Avvocato Agnelli, la “settimana corta” di Boniperti negli allenamenti (elemento che ha forse impedito che la sua carriera, visto il talento naturale, fosse ancora più fulgida), la scommessa nel derby col trio “Nizza”, la frase attribuita all’arbitro Jonni di Macerata: “Signor Boniperti, faccia arbitrare un po’ anche me”.

Da presidente, notorio il fatto che, per la troppa ansia, lasciasse lo stadio alla fine dei primi tempi delle partite della sua Juventus. E da primo dirigente, nove scudetti, due coppe Italia, e tutte le Coppe Internazionali.

Il 12 luglio 1988 ricevette per questo la targa UEFA, poiché appunto la Juve fu la prima squadra a vincere tutti i tornei allora organizzati dalla federazione calcistica europea. Sempre da presidente, viene ricordata certamente di più la squadra che giocò tre finali consecutive in Europa, quella dei campioni del mondo, di Platini e Boniek, il cui ciclo culminò nella conquista dell’Intercontinentale a Tokio l’8 dicembre 1985, col giovane Laudrup al posto del polacco, un ciclo che si concluse di lì a qualche mese con la rocambolesca conquista del ventiduesimo scudetto, l’ultimo targato Boniperti-Trapattoni  (piccola annotazione personale: questa squadra resta tuttora quella cui sono più legato, sia per la sua forza, ma anche per il carattere di molti suoi giocatori, “forgiati” proprio dal loro presidente, oltre che certamente  per il fatto  – comune a moltissimi tifosi – che è la squadra della mia infanzia).

Ciò nonostante, quella che certamente più incarnò lo spirito di Boniperti fu la primissima squadra del Trap, stagione, 1976-77, un undici di combattenti che riuscì a vincere lo scudetto con punteggio record di 51 punti (con due punti per la vittoria, campionato a 16 squadre) e la coppa Uefa, primo trofeo europeo moderno nella bacheca juventina. Senza dimenticare un’altra Coppa Uefa, quella 1992-93, dopo il ritorno di Boniperti quale amministratore delegato, e a Trapattoni da tecnico dopo il quinquennio all’Inter, nell’estate di trent’anni fa, a seguito del fallimento della “rivoluzione” della Juve Champagne targata Montezemolo-Maifredi.

Una Juve della “ricostruzione”, che dopo il settimo posto dell’anno prima tornò (dopo molti anni) a lottare per lo scudetto, pur trovandosi di fronte il muro del Milan degli olandesi e del primo Capello. Dal 94 in poi Lippi e la triade ne raccolsero i frutti, ma anche grazie agli ultimi colpi di mercato di Boniperti, dal dilettante Torricelli al giovanissimo Alex Del Piero, il solo ad averne tuttora superato le marcature col maglia della Juve. Infine, la carica di presidente onorario: assieme ai due proprietari, nonché suoi ex presidenti da calciatore, Gianni e Umberto Agnelli.

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