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Francesco Repice

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“Giornate Amarcord”, una full immersion nei valori formativi e identitari del calcio dilettantistico a Cosenza tra gli anni ’60 e ’70. Presso il centro sportivo “Real Cosenza” si sono tenuti negli scorsi giorni il memorial “Franco Rizzo” e il convegno che ha coinvolto esperti di vari ambiti professionali a cui è seguita l’inaugurazione della mostra fotografica con 400 foto d’epoca raccolte e ordinate da Amedeo Miceli e Christian Amoroso.

Un evento ideato da Mimmo Frammartino (presidente della commissione Cultura e Sport del Comune di Cosenza) e coordinato da Sergio Chiatto (veterano dello sport). Ospite d’onore il giornalista sportivo cosentino Francesco Repice, voce delle più importanti e memorabili partite di calcio italiane, europee e mondiali sulle frequenze di Radio Rai. Giovani e meno giovani hanno riempito il campo con tutta la passione e l’entusiasmo per questo sport. Spirito di squadra, senso di appartenenza, integrazione, lealtà, rispetto dell’avversario, motivazione, determinazione, impegno, sacrificio, responsabilità, emozione.

Il calcio non è solo un gioco ma un’opportunità di crescita per i valori che rappresenta. Le “Giornate Amarcord” sono state un’occasione di incontro tra le nuove “leve” ed i calciatori con qualche anno di esperienza in più per confrontarsi sui risvolti positivi di questo sport. Sono intervenuti i rappresentanti della FIGC, AIA, CONI, CIP, UNVS. Il convegno è stato moderato dal giornalista Vittorio Scarpelli.

Il presidente Mimmo Frammartino ha dichiarato che «sono serviti quattro mesi di lavoro per preparare questo evento. Come Commissione di Cultura e Sport abbiamo lanciato l’idea e abbiamo deciso di affidarla a Sergio Chiatto, memoria storica del calcio di Cosenza e Provincia, educatore impareggiabile nel mondo dello sport. La nostra finalità è stare tra la gente. Questa commissione è diventata itinerante, ha scelto un filone identitario. Occorre conoscere la storia della città per affrontare il futuro. Questo è il messaggio che vogliamo lanciare alle nuove generazioni. Così dopo la rassegna “la Storia dei quartieri”, è nata questa iniziativa. Vogliamo rendere omaggio a chi non c’è più tra noi. In particolare, a tre persone, emblema del nostro calcio: Franco Rizzo, Emilio Morrone, Ciccio Delmorgine. E, ovviamente, quando parliamo di calcio non possiamo non citare Francesco Repice, radiocronista della nostra nazionale e orgoglio calabrese». A seguire, è stato proiettato un video tributo al noto giornalista.

Ad aprire il dibattito, Sergio Chiatto con un interessante excursus sulle origini del calcio giovanile cosentino durante i “favolosi” anni ’60”. «Il calcio, specialmente quello di quartiere, praticato sui campetti di periferia, riusciva a tenere alto il senso di comunità. In città, vi erano campetti improvvisati un po’ dappertutto. Diversi fortunati, grazie all’abnegazione di dirigenti appassionati e a un’indovinata politica espansiva, riuscirono ad accedere con la loro squadra d’appartenenza al Morrone. Nel “Santuario del calcio cosentino”, tutti ci misurammo con un calcio regolamentato dall’alto valore educativo. Lì, vennero annullate le differenze di classe».

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Dall’intervento di Chiatto, il calcio emerge come esempio virtuoso che, insieme alla famiglia e alla scuola, contribuisce alla formazione dei giovani: «Abbiamo voluto che queste giornate amarcord inducessero a riflettere sui valori formativi e identitari del calcio dilettantistico a Cosenza- precisa Chiatto- interrogandoci se e come tali valori abbiano o meno permeato la nostra società in modalità cosciente e se quel modello debba essere riproposto tra le nuove generazioni attraverso i presidi educativi di cui disponiamo».

La professoressa Angela Costabile (ordinario di Psicologia dello sviluppo e dell’Educazione Unical) ha evidenziato l’importanza del binomio benessere psicofisico e sport: «Durante la preadolescenza si pratica meno sport, invece è il momento in cui esso ci consente di conoscere meglio il nostro corpo, i nostri limiti, le nostre risorse. Per i disabili, è un discorso particolarmente significativo. Nell’adolescenza, si può ritornare a praticare lo sport ma occorre che sia distante dal mondo degli adulti perché l’identità si costruisce distaccandosi da questi ultimi. I giochi di squadra sono importantissimi per lo sviluppo di bambini, ragazzi e ragazze. Ma occorre riflettere su cosa porta i giovani verso un’attività sportiva: a loro interessa davvero praticare quello sport o abbiamo proiettato su di loro ciò che noi avremmo voluto fare?». Tra gli altri temi affrontati dalla professoressa Costabile: la competizione, i successi e la concezione degli insuccessi come forme di apprendimento.

Il provveditore agli Studi della Provincia di Cosenza, Loredana Giannicola, ha illustrato come costruire alleanze per ridare senso all’educazione: «Per educare un bambino basterebbe una squadra. Che sia di calcio o di qualsiasi altro sport, in quella squadra c’è la sintesi di un percorso formativo importante, la sintesi di quell’alleanza che cerchiamo all’interno del contesto sociale. Abbiamo fatto perdere ai giovani, vere vittime di questo tempo, il senso ed il valore di un progetto esistenziale autentico. I ragazzi di oggi si sentono disorientati perché non riescono a trovare nei genitori, nei docenti e nelle figure adulte che incrociano nella loro vita dei punti di riferimento in grado di ascoltarli. Non costruiamo il futuro con promesse ma attraverso una causalità esemplare che soltanto gli adulti possono dare tramite la coerenza e il senso di responsabilità».

Infine, Antonio Iaconianni (dirigente del liceo Telesio ed ex calciatore) ha trattato il tema “Quando il calcio non si faceva a scuola” ed ha sottolineato che: «Al Telesio, facciamo tanti sport e partecipiamo ai campionati studenteschi. Nella nostra offerta formativa, ci tenevo ad inserire anche il calcio. Sarà per questa passione che noi italiani, insieme ai sudamericani, abbiamo per il “pallone”. Abbiamo iscritto la nostra squadra al campionato Federazione italiana Giuoco calcio, serie D calcio a 5».

Ospite delle giornate Amarcord, voce appassionata e coinvolgente, il giornalista sportivo Francesco Repice ci ha raccontato di essere felice di: «Parlare con ex calciatori. Anzi, levo “ex” perché calciatori non si smette mai di esserlo. Con molti di loro ho incrociato gli scarpini sui campi di gioco, non di erba sintetica ma di terra e cemento. Sono felice di averli rivisti e che grazie allo sport, al pallone e alla convivenza all’interno di uno spogliatoio, microcosmo assai educativo, abbiamo fatto una buona vita e siamo arrivati fin qui. Ognuno di loro ha avuto un percorso importante, magari con difficoltà e inciampi, ma la vita non è qualcosa di lineare. Ho ricevuto tantissime critiche quando dissi che Diego Armando Maradona è un esempio per i ragazzi. I mulini bianchi non esistono. Esistono i problemi, i vizi. Dover sopportare il regime dei “Desaparecidos” e dover portare da mangiare a casa con i primi soldi guadagnati, probabilmente incide sulla mente di un ragazzo. Nella mente dei giovani che hanno partecipato a questo evento, rimane la possibilità di confrontarsi con il più forte, il più debole, il più prepotente, con tutti. Ciò li farà crescere».

Repice rivolge un sentito ringraziamento al presidente Perri perché «sta facendo qualcosa di davvero importante per questa città e per questa Regione. La possibilità di calpestare erba sintetica di ultimissima generazione dà ai ragazzi l’opportunità di stare lontano dalle tante rogne che affliggono la nostra terra. Non c’è niente che tenga distanti i giovani da strade sbagliate che questo campo di calcio, sia esso di cemento, erba sintetica, erba naturale».

Ma com’è nata la passione del noto giornalista per il calcio e per la radiocronaca? «Dal fatto di essere un “calciatore frustrato”, cioè di non poter essere arrivato a calciare il pallone ai massimi livelli. Quindi, per rimanere nell’ambiente ho deciso di fare il giornalista. L’arbitro non faceva per me (sorride, ndr). La prima radiocronaca risale al 1978-79, Rende-Paganese dal Marco Lorenzon di Rende con la richiesta ad una signora che aveva il balcone sullo stadio. Non potevo andare in tribuna stampa perché non ero ancora maggiorenne. Pregai questa signora di farmi salire sul suo terrazzo e di farmi attaccare la spina della radio che mi concedeva la possibilità di raccontare la partita di calcio. Da lì, è nato tutto. Alla fine di quella stagione, una domenica sì e una no, la signora mi preparava la pasta ripiena. Ero diventato uno di famiglia». Cosa suggerisce il celebre radiocronista ai giovani che desiderano intraprendere la carriera di giornalista sportivo? «Leggere riviste, libri, quotidiani, settimanali, scritte sui muri, pubblicità. Tutto. Le parole sono sempre importanti per quello che facciamo».

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