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CUTRO (KR) – Non ha lasciato un attimo il fratellino che stringeva fra le braccia, ma dopo un’ora che erano immersi nelle acque gelide il piccolo di sei anni appena è morto. Di freddo, non annegato. Non l’ha lasciato andare neanche quando il polso non batteva più. Ma è soltanto una delle drammatiche testimonianze dei naufraghi, che viaggiavano sul barcone schiantatosi contro una secca a Steccato di Cutro il 26 febbraio scorso, che continuano a chiamare in causa i ritardi nei soccorsi anche a terra. «Sono stata in acqua circa un’ora, perché le onde mi riportavano indietro, nuotavo aiutandomi con un legno ma poi tornavo indietro. Eravamo in tre, tre amici. Un’altra donna è dispersa.

L’uomo, Nur, l’ho trovato a terra. Era buio, lui urlava il mio nome, io il suo, ci siamo trovati. Gli scafisti non hanno aiutati nessuno di noi a salvarsi», ha detto la prima superstite sentita ieri su domanda dell’avvocato Francesco Verri, che assiste alcuni familiari delle vittime (finora quelle accertate sono 90), nel corso di una nuova udienza dell’incidente probatorio che si sta celebrando dinanzi al gip del Tribunale minorile di Catanzaro Donatella Garcea nel procedimento a carico di un presunto facilitatore pakistano non ancora maggiorenne.

«Non ho pagato. Ho messo 8mila dollari su un conto vincolato. In Turchia ho parlato con un uomo di cui non conosco le generalità. Non ho liberato i soldi. Siamo saliti prima su una barca bianca, di notte, non c’erano salvagenti, solo una donna ne aveva uno suo. Poi la barca si è rotta e gli scafisti ne hanno chiamato un’altra che è arrivata. La guidava un ragazzo alto, turco. I migranti stavano sotto, gli scafisti su. Eravamo stanchi e preoccupati. Quando stavamo arrivando, abbiamo cominciato a prepararci.

La barca andava veloce, poi c’è stato un urto. Mi sono aggrappata a un pezzo rotto della barca, quando sono arrivata c’era un soldato italiano che mi ha salvato», ha detto la donna ripercorrendo la tragica traversata. Uno squarcio di luce anche sullo zaino nero degli scafisti che secondo alcune testimonianze conteneva un milione di euro. «Un ragazzo ha chiesto il denaro che i migranti avevano con sé, ha cominciato a raccogliere questi soldi. Quando sono stata sentita dalla polizia avevo paura».

Poi è stata la volta del giovane che ha perso il fratellino. Il racconto inizia con la fuga dalle persecuzioni e con la segregazione in stiva. «Sono siriano e in Turchia ho subito discriminazioni. Io e mio zio abbiamo pagato 8mila euro ciascuno. Con me ha viaggiato il mio fratellino. Sulla prima e sulla seconda barca non potevamo muoverci. Sulla prima non c’era spazio, sulla seconda dovevo chiedere il permesso per prendere un po’ d’aria, altrimenti rischiavo di essere maltrattato, ho ricevuto anche uno schiaffo solo perché mi è squillato il telefono, facevano salire solo qualche ragazza carina». Poi c’è la determinazione nella denuncia. «Gli organizzatori hanno fatto video delle persone a bordo. Un ragazzo pakistano diverso da quello presente in aula ha raccolto i soldi. Pensate a questa tragedia come se fosse vostra. Gli organizzatori del viaggio hanno ammazzato mio fratello e io non nasconderò nulla».

La paura assaliva i migranti. «Il mare a un certo punti è diventato forte, gli organizzatori del viaggio ci rassicuravano dicendo che era tutto normale anche se a noi non sembrava perché era la prima volta che andavamo in mare, così dicevano. Quando c’è stato l’urto, c’erano luci a terra. Non so che luci fossero, io ero sotto. Ho preso mio fratello e ci siamo buttati a mare, eravamo tutti nel panico». Poi quella lunga permanenza in acqua, e nessuno che interviene da terra, a conferma della ricostruzione ufficiale secondo cui, a fronte di un allarme scattato alle 4, la guardia costiera sopraggiunge soltanto alle 6.50 a Steccato. «Sono rimasto tre ore in acqua, eravamo in acqua già dalle 4, il bimbo è morto dopo un’ora, è rimasto sempre fra le mie braccia, non l’ho lasciato andare dopo che è morto». Poi le loro mani imploranti hanno finalmente incrociato gli sguardi degli uomini in divisa.

«Sono stato soccorso in mare dalla guardia costiera, ci siamo fatti sentire e ci hanno recuperati, ci siamo salvati grazie a un pezzo di legno altrimenti eravamo tutti morti. Sono svenuto sulla barca della guardia costiera, sono stato condotto al porto e poi in ospedale». Gli organizzatori della tragica traversata avrebbero incassato il bottino anche dopo il naufragio. «Non ci hanno detto che a terra ci avrebbe atteso qualcuno, ero diretto in Germania. I soldi gli organizzatori li hanno presi nonostante il naufragio, anche quelli di mio fratello».

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