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Licio Gelli avrebbe diretto il raccordo tra la Massoneria deviata e la ‘ndrangheta calabrese, le tesi della Commissioni antimafia

CATANZARO – La ’ndrangheta e la massoneria, due mondi che si intrecciano e si confondono e le cui commistioni sono riconducibili alla regia di Licio Gelli, il capo della disciolta P2. Se ne parla nella relazione della Commissione parlamentare antimafia sui “Rapporti tra la criminalità organizzata e le logge massoniche, con particolare riferimento alle misure di contrasto al fenomeno dell’infiltrazione e alle doppie appartenenze”.

Un importante contributo di conoscenza sui rapporti tra la massoneria e le organizzazioni criminali, siciliane e calabresi, è stato offerto, nel processo «’Ndrangheta stragista», da Giuliano Di Bernardo. Gran maestro del Grande Oriente d’Italia dal marzo del 1990 all’aprile del 1993, secondo il quale i massoni calabresi hanno sostenuto i movimenti politici separatisti che si stavano diffondendo in quegli anni in tutto il territorio nazionale cercando di coinvolgere anche il Grande Oriente. Di Bernardo, audito dalla Commissione, aveva appreso dell’esistenza di possibili infiltrazioni della’ ndrangheta nella massoneria dall’allora procuratore della Repubblica di Palmi, Agostino Cordova, il quale gli aveva spiegato che la sua richiesta di ottenere dal Grande Oriente l’elenco degli iscritti era motivata dal fatto che sospettava che la ’ndrangheta stesse sfruttando, appunto, il canale della massoneria per occupare le regioni del nord.

I MOTIVI DELLE DIMISSIONI DI DI BERNARDO DA GRAN MAESTRO DEL GOI

Di Bernardo ha quindi spiegato perché, nella primavera del 1993, si dimise dall’incarico di gran maestro del Goi, non prima però di aver convocato in via straordinaria la Giunta di quell’obbedienza con la partecipazione di tutti i vertici calabresi dell’associazione. Andò poi a Londra per informare i vertici della massoneria inglese che comunque ne erano già a conoscenza. Fu così che l’8 settembre del 1993 la Gran loggia unita d’Inghilterra ritirò il riconoscimento massonico, ottenuto nel 1972, al Grande Oriente d’Italia. Per conferirlo il successivo 8 dicembre dello stesso anno alla Gran loggia regolare d’Italia nel frattempo da lui fondata. Il Grande Oriente d’Italia era rimasto quindi nella massoneria, ma aveva perso la sua base internazionale di «regolarità».

Di Bernardo ha poi mantenuto fino al 2002 la carica di gran maestro della GlrI e dopo il suo ritiro, dovuto anche al fatto che la massoneria inglese aveva manifestato l’intenzione di restituire il riconoscimento al Goi, aveva fondato l’Accademia degli illuminati. Nella GlrI molti affiliati non erano identificabili (il 77% erano in Calabria e Sicilia).

LICIO GELLI REGISTA DEL RACCORDO TRA ‘NDRANGHETA E MASSONERIA

Di Bernardo ha pure sottolineato come Licio Gelli disponesse di «una base molto forte» all’interno del Goi. Egli intendeva essere riammesso nell’obbedienza, offrendogli anche denaro e, successivamente, prospettandogli – siamo nel 1992 – la consegna del vero elenco della P2 in quanto quello sequestrato dalla magistratura era solo parziale.

Anche il suo predecessore, Armando Corona, nominato dopo l’espulsione di Gelli, aveva fondato delle logge coperte e di ciò Di Bernardo era venuto a conoscenza una volta divenuto gran maestro del Grande Oriente, quando ricevette la visita di «un non meglio identificato personaggio calabrese» che appunto gli aveva parlato della esistenza della loggia coperta.

Da quanto aveva appreso Di Bernardo, Corona aveva cooptato gli imprenditori ritenuti utili per i suoi progetti e finalità riunendoli in una loggia coperta. Il legame col crimine organizzato? Secondo Di Bernardo vi era stata «un’unica regia», e ne parlò anche al procuratore Cordova. Ma queste affermazioni si saldano con quelle di collaboratori di giustizia siciliani, come Tullio Cannella e Gioacchino Pennino, e calabresi, come Filippo Barreca e Cosimo Virgiglio.

Rivelazioni che attesterebbero l’esistenza di «sistemi criminali occulti (massoneria, servizi deviati e appartenenti alla destra eversiva) che misero a disposizione dei vertici di cosa nostra e ’ndrangheta un progetto di rinnovamento politico che si snodava attraverso i movimenti autonomisti, espressione di sfiducia verso la vecchia classe politica, ed era rivolto al raggiungimento del comune obiettivo di “impossessarsi dello Stato”».

LE FAMIGLIE DI ‘NDRANGHETA IN RAPPORTO CON LA MASSONERIA

Secondo Virgiglio, per esempio, le famiglie di ’ndrangheta che si raccordavano con la massoneria erano i Molè Piromalli di Gioia Tauro, i Mancuso di Limbadi, i De Stefano di Reggio, gli Arena di Isola Capo Rizzuto, i Barbaro, i Morabito, i Latella, i Pelle, gli Strangio nella Locride. I pentiti Filippo Barreca e Giacomo Lauro hanno parlato di una sorta di «super loggia» creata sia a Reggio Calabria che a Catania. Composta da esponenti di vertice di ‘ndrangheta e cosa nostra che, grazie al flusso continuo di comunicazioni, miravano a «un rapporto di collaborazione e di connivenza con le istituzioni arrivando così a gestire la res pubblica».

Anche il pentito Pasquale Nucera ha riferito che «in quel periodo la’ndrangheta, cosa nostra, le logge massoniche, quelle deviate, i servizi deviati, si sono inglobati e fusi in un unico progetto criminale». Una commistione, che – sempre secondo le dichiarazioni di Nucera – sarebbe stata favorita anche da Licio Gelli. Con l’obiettivo di «controllare» la ’ndrangheta, aveva fatto in modo che ogni componente della «santa» – la struttura di vertice dell’organizzazione criminale – venisse inserito automaticamente nella loggia P2. «Metteva (…) dentro la “P2” metteva un “santista” di un locale, cosi aveva la possibilità di controllare sia i voti, le cose politiche, i lavori, tutto.».

LA NASCITA DELLA “SANTA” NELL’ORGANIZZAZIONE NDRANGHETISTA

Accanto alla “provincia”, organo di vertice della mafia calabrese, venne creata una struttura sovraordinata, la “santa”. Composta da pochi eletti che, muovendosi nell’ombra, gestivano i rapporti con la politica, l’economia e le istituzioni facendo leva proprio sulle relazioni massoniche. Il collante del sistema era quindi la massoneria deviata, con cui da sempre – stando a quanto dichiarato dai pentiti – sembrano essere strettamente legate ’ndrangheta e cosa nostra. Sulla base di tutti questi elementi, dunque, è possibile affermare, secondo le conclusioni della Commissione parlamentare antimafia presieduta da Nicola Morra (proponente di questo capitolo della relazione finale è la senatrice crotonese Margherita Corrado), che «all’interno della massoneria abbiano gravitato certamente per lungo tempo soggetti appartenenti alle organizzazioni criminali che, in collaborazione con esponenti politici ed appartenenti a settori istituzionali deviati, hanno sinergicamente indirizzato la strategia stragista».

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