X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

Dall’inchiesta in Lombardia sulla ‘ndrangheta al nord la vicenda dei “cestini” spediti alle ‘ndrine che fanno capo ai Farao di Cirò e ai Tripodi di Vibo

CIRÒ MARINA – Il “cestino” non dimenticavano di farlo neanche quando i “Bad Boys” erano carcerati. La presunta cricca affaristico-mafiosa che pilotava i fallimenti per spolpare le aziende, colpita l’altro giorno dalla Dda di Milano con sei arresti, avrebbe commesso una serie di reati economici per favorire la cosca di Legnano e Lonate Pozzolo, articolazione lombarda dei Farao Marincola di Cirò, e la cosca Tripodi di Vibo Valentia, storicamente collegata ai Mancuso di Limbadi.

LEGGI ANCHE: Fondi di società fallite alle cosche di ‘ndragheta: sei arresti in Lombardia

Per questo agli indagati è contestata l’aggravante mafiosa. Figura cerniera con i due clan sarebbe uno dei presunti promotori dell’associazione a delinquere. Si tratta del 54enne Enrico Barone, nato a Vibo Valentia ma residente a Legnano. Parte della redditività prodotta dal presunto sodalizio criminale sarebbe stata incanalata verso componenti delle famiglie ‘ndranghetiste stanziate al Nord.

‘NDRANGHETA AL NORD, CRICCA DEI FALLIMENTI E “CESTINI”

C’è una conversazione intercettata nel dicembre 2020 nell’ufficio di Barone, alla quale avrebbero preso parte il coindagato Maurizio Ponzoni, che verteva sul processo Krimisa. Processo scaturito da una delle ultime operazioni – dopo Bad Boys e Crimine – che ha stangato il “locale” di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo.

Ponzoni, secondo la ricostruzione degli inquirenti, informa Barone che il giorno precedente era passato dalla “moglie di Enzo”, ovvero Michela Geraci, consorte di Vincenzo Rispoli, capo dei cirotani al Nord, e gli porta i saluti della donna. E se Barone osserva: «quest’anno non lo posso fare il cestino». Ponzoni replica: «l’ho già fatto io, non ti preoccupare, già portato i saluti, fatto tutto io». Nel 2020 sono pochi, però, i soldi messi nel “cestino”, perché «siamo tutti nei guai». Parliamo di 1600 euro. Intanto, «lui l’hanno trasferito all’Aquila». Il noto boss Rispoli, infatti, là risulta detenuto.

CONSEGNE DI DENARO TESE A SOSTENERE LA FAMIGLIA DEL CAPO

Il riferimento a pregresse erogazioni denoterebbe che le consegne di denaro erano finalizzate al sostentamento della famiglia del riconosciuto capo del “locale” di Legnano. Tanto più che presso la sua abitazione sarebbe stata consegnata alla donna il “cestino natalizio”.

A ciò si aggiunga che Barone, tramite società del suo gruppo utilizzate per commettere reati tributari, avrebbe assunto due fratelli di Nicodemo Filippelli. Questi già condannato nei processi Bad Boys e Infinito quale appartenente dell’associazione mafiosa. Da un’intercettazione emerge che uno di loro avrebbe ricevuto “aiuto” perché non poteva intestarsi quote societarie di imprese. «Non può avere ditte… gliele sequestrerebbero».

Ma le elargizioni sarebbero state anche in favore di Massimo Rosi, con numerosi precedenti per traffico di stupefacenti ed estorsioni e coinvolto in un’inchiesta insieme ad esponenti della famiglia Barbaro di Platì. I diecimila euro dati a lui erano però per “Dino”, ovvero Dino Lo Presti, assistente capo della polizia penitenziaria indagato dalla Procura di Busto Arsizio per presunti benefici da lui concessi ad alcuni detenuti.

I CESTINI PER LA ‘NDRANGHETA AL NORD, DENARO PER I SERVIGI RESI AL LOCALE

I soldi erano, quindi, per i servigi resi al “locale” di Legnano a cui Rosi potrebbe essere collegato se, stando a un’intercettazione, teme per le rivelazioni del pentito Emanuele De Castro. «Anch’io rischio…sono in mezzo alla…parla anche di me… che sono capo società da tot anno a tot anno… non so manco io come sono uscito…dice che comandavo dal ‘98 al 2016… sono 10, 15 anni di cip e ciop».

Pertanto Rosi, per screditare il pentito, avrebbe chiesto a Francesco Cicino di Guardavalle (detenuto per il delitto di Cataldo Aloisio commesso a San Giorgio su Legnano su ordine dei cirotani, e per il quale è stato chiesto l’ergastolo in un processo in cui rischiano la massima pena anche quattro pezzi grossi del clan) di prendersi lui la responsabilità, in modo da salvare le famiglie di ‘ndrangheta coinvolte. «Perché tu devi far credere che quello che dice non è vero».

L’agevolazione sarebbe stata anche in favore della cosca Tripodi poiché una delle coop di Barone, la Service a r. l., avente ad oggetto sociale consulenza informatica, avrebbe assunto un fratello di Nicola Tripodi, condannato in via definitiva per associazione mafiosa.

Erogazioni di denaro risulterebbero anche in favore di Massimo Murano, anch’egli condannato per i legami con la cosca Tripodi e ritenuto uomo di fiducia di Barone essendo rappresentante legale di una delle sue società.
Parliamo di “aiuti” finanziari per circa 38mila euro.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE