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Ricostruita la “locale” che si era radicata in Brianza e che gestiva diversi affari tra cui stupefacenti, usura, estorsioni e rapine. Intercettata la frizione tra il presunto capo e uno dei componenti

I CARABINIERI del Comando Provinciale di Milano hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 28 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale degli stupefacenti, usura, estorsione e rapina.

Gli arrestati sono 27 italiani e un albanese, catturati in Brianza, nelle province confinanti nonché in quelle di Crotone, Reggio Calabria e Bari.

Il provvedimento è stato firmato dal gip del tribunale di Milano Andrea Ghinetti su richiesta dei magistrati Alessandra Dolci e Marcello Tatangelo della Dda milanese.

L’indagine ha acquisito, nei confronti di 11 fra gli arrestati, incontrovertibili elementi probatori in ordine alla loro affiliazione alla ‘ndrangheta. L’attività investigativa, inoltre, ha permesso di ricostruire le dinamiche criminali proprie della “locale” di Mariano Comense (Como) che, dedita secondo le indagini al traffico internazionale degli stupefacenti destinati ai mercati lombardi, calabresi e pugliesi, realizzava ulteriori profitti sottoponendo ad estorsione i commercianti del territorio, non tralasciando
l’usura e le rapine.

Nel corso delle indagini è emerso il disaccordo tra la figura del presunto capo e quella di un affiliato che rivendicava per sé un ruolo di maggiore preminenza all’interno della struttura. La questione è stata oggetto di numerose «discussioni» ed è stata portata all’attenzione dei vertici criminali in Calabria.

L’INTIMIDAZIONE ALL’IMPRENDITORE – L’inchiesta è iniziata indagando su un’intimidazione avvenuta nel 2012 con dei colpi di arma da fuoco contro due auto a Sesto San Giovanni. Fondamentale, però, per gli inquirenti è stata la denuncia di un imprenditore di origini calabresi che ormai schiacciato dai metodi mafiosi del suo socio in affari (noto ‘ndranghetista) si è presentato alla Direzione distrettuale Antimafia di Milano.

«La testimonianza di Francomanno, questo il nome dell’imprenditore, è un caso molto raro – ha dichiarato il sostituto procuratore della Dda milanese, Alessandra Dolci -. La sua storia dimostra che stringere accordi con esponenti della criminalità organizzata, con la speranza di ottenere vantaggi o crescita lavorativa, porta ad essere fagocitati lentamente dal sistema. Nel suo caso, in particolare, aveva deciso di accogliere come socio di minoranza della sua attività commerciale un pregiudicato che dall’interno, attraverso i metodi mafiosi, è riuscito a rosicchiare tutta la sua azienda fino a costringerlo a cedere a prezzi irrisori la maggioranza e a chiudere altri rami che entravano in concorrenza con l’attività dell’ndranghetista».

L’indagine è partita indagando su dei colpi di pistola esplosi contro due auto a Sesto San Giovanni e gli inquirenti hanno scoperto che si trattava di un’intimidazione dei fratelli Molluso nei confronti di due persone interessate ad acquistare degli immobili su cui loro avevano interesse.

IL BOSS AL SUMMIT – Tra gli arrestati c’è anche il cosiddetto “soggetto 19”, ovvero uno dei partecipanti al summit di ‘ndrangheta al circolo Arci “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano avvenuto il 31 ottobre 2009.

I carabinieri filmarono l’incontro e identificarono quasi tutte le persone intervenute ma per quelli rimasti anonimi assegnarono un numero. Come nel caso del “19”, che si scopre essere Giovanni Carneli, 40enne di Locri, indagato nel 2006 per traffico di droga. Quel giorno accompagnò in auto al summit Salvatore Muscatello, il boss di 81 anni detto “il vecchio”, allora capo della locale di Mariano Comense. 

LA DISCOTECA. Tra gli elementi dell’inchiesta è emerso anche il curioso caso dei prestaggi che avvenivano in una discoteca (LEGGI) e che venivano riservati ai calabresi che non pagavano

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