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Un'operazione della polizia

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Colpo alla ‘ndrangheta in Lazio, dove si era radicata già dagli anni ’80, al punto da replicare la propria struttura criminale originale. La polizia ha sequestrato beni per oltre 120 milioni di euro nei confronti di esponenti della criminalità organizzata calabrese nella Capitale e in provincia.

Nel mirino 173 immobili; 38 quote societarie e ditte individuali; 40 complessi aziendali di cui 7 supermercati; 4 allevamenti; 38 veicoli tra cui una Ferrari; un contratto di rete di imprese e fondo patrimoniale finanziato dalla Regione Lazio di 100mila euro; titoli per l’erogazione di aiuti all’agricoltura finanziati dall’Unione europea; oltre 1000 rapporti finanziari ancora da quantificare; gioielli e preziosi contenuti in tre cassette di sicurezza; computer e cellulari. Addirittura criptovalute.

I beni sono riconducibili a cinque esponenti di vertice del gruppo laziale della ‘ndrina Morabito-Mollica-Palamara-Scriva, originaria di Africo e insediatisi a nord della provincia di Roma più di trent’anni fa. Figli di ‘ndranghesti, avevano partecipato coi padri alla sanguinosa guerra intestina combattuta negli anni ’80/’90 nei comuni reggini di Africo e Bruzzano Zeffirio tra i potenti gruppi degli Scriva-Palamara-Speranza, da una parte, e dei Mollica-Morabito, dall’altra, nota come “faida di Motticella”, che determinò l’uccisione di circa cinquanta persone e poi la chiusura da parte degli organismi di vertice dell’organizzazione della ‘locale’ di ‘ndrangheta.

Le indagini hanno ripercorso la carriera criminale e analizzato le posizioni economico-patrimoniali dei cinque, tre dei quali condannati in via definitiva per associazione di tipo mafioso, dei nuclei familiari e di persone a loro collegate, evidenziando una notevole sproporzione tra i redditi dichiarati o l’attività svolta e i beni posseduti, direttamente o indirettamente, concludendo che fossero il frutto o il reimpiego di attività illecite. Tra questi sequestri di persona a scopo di estorsione, traffico di droga e armi, e più recentemente estorsione, usura e intestazione fittizia di beni. Le attività spaziavano da Roma all’area della Tiberina e della Flaminia, nei centri di Rignano Flaminio, Morlupo, Sant’Oreste, Capena, Castelnuovo di Porto, Campagnano e Sacrofano, con investimenti immobiliari ad Alghero (SS), Rocca di Cambio (AQ), Genova, Bruzzano Zeffirio (RC) e Faleria (VT).

I settori vanno dall’ingrosso di fiori e piante alla vendita di legna da ardere, allevamenti, bar e gastronomia, commercio di preziosi. Attraverso prestanome anche la grande distribuzione con supermercati della catena Carrefour, l’ambito edilizio/immobiliare, della vendita di prodotti ottici e centri estetici. Con la rete di imprese romana Morlupo l’organizzazione si era recentemente aggiudicata l’assegnazione di un finanziamento pubblico di 100mila euro da parte della Regione Lazio. Tra gli intermediari Massimiliano Cinti, nipote del noto boss romano, e il ‘cassiere’ della Banda della Magliana Enrico Nicoletti. L’esecuzione del sequestro ha richiesto l’impiego di 250 agenti di 10 questure, oltre a quella della Capitale. Le attività non saranno chiuse ma gestite dall’amministrazione giudiziaria per riportarle alla legalità.

«Arresti e sequestri sono la risposta migliore a chi ci chiede pulizia e legalità», il commento del ministro dell’Interno Matteo Salvini. «Eppure c’era chi sosteneva che a Roma non ci fosse la Mafia. Quando lo Stato c’è, non ce n’è per nessuno», rimarca il presidente della commissione Antimafia del M5S Nicola Morra.

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