X
<
>

IL blitz dell'Fbi negli Stati Uniti

Condividi:
6 minuti per la lettura

Il blitz congiunto di Fbi e Polizia Italiana fa emergere “uno scenario inaspettato” sull’asse Italo-Americano della criminalità organizzata e sul ruolo della ‘ndrangheta crotonese

ROCCA DI NETO – Uno «scenario del tutto imprevisto» dal quale fa capolino anche un traffico di gioielli tra l’America e l’Italia. Nel quadro delle nuove alleanze mafiose lungo l’asse italo-americano in cui sarebbe da inserire la “collaborazione”, da una parte, tra il clan di ‘ndrangheta del Crotonese a quanto pare attivo nell’area newyorkese e riconducibile alle famiglie Iona e Corigliano e, dall’altra, le famiglie Gambino e Colombo, tra le più importanti di Cosa Nostra americana, gli elementi d’indagine al vaglio del Fbi e della polizia di Stato rappresenterebbero «un’innovativa chiave di lettura».

La novità sarebbe appunto l’irruzione delle cosche della Valle del Neto nel variegato contesto criminale statunitense, essendo già consolidato il dato dell’inclinazione della mafia italo-americana a intessere relazioni funzionali con propaggini della ‘ndrangheta jonico-reggina e dell’area catanzarese, come emerso dalle inchieste New Bridge e Columbus. Relazioni comunque volte al mantenimento della leadership di Cosa Nostra americana. Uno scenario che verrebbe acclarato anche dalla nuova inchiesta in quanto il clan di ‘ndrangheta a quanto pare attivo nel Long Island avrebbe prestato “manovalanza” per le estorsioni.

LE BASI DELL’INCHIESTA SULL’ASSE ITALO-AMERICANO TRA MAFIA E ‘NDRANGHETA

Ecco perché gli inquirenti newyorkesi e il Servizio centrale operativo della polizia di Stato, insieme alle Squadre Mobili di Crotone e Catanzaro, coordinati dalla Dda guidata dal procuratore Nicola Gratteri, hanno inteso avviare un’attività investigativa congiunta. Attività basata sulle proiezioni in Usa di un sodalizio mafioso la cui operatività viene accertata per la prima volta con la sentenza Eclissi, scaturita dall’inchiesta che sfociò in una maxi operazione condotta contro le cosche del Crotonese nel ’96. Si tratta dell’operazione che sancì che il clan di Belvedere Spinello allora guidato da Guirino Iona, il boss di recente scomparso, era così potente da ingaggiare una guerra contro una federazione di cosche della provincia pitagorica raccoltesi attorno al “locale” di Cirò.

Un procedimento da leggere in continuità con le successive operazioni Ciclone e Six Towns, che hanno acclarato l’operatività del “locale” di ‘ndrangheta di Belvedere Spinello la cui influenza criminale, tra l’altro, si sviluppa anche a Rocca di Neto e dintorni. Figura ponte, secondo le indicazioni fornite dal Fbi, sarebbe, come già riferito dal Quotidiano, Teodoro Matozzo. Originario di Satriano, nel Catanzarese, ritenuto esponente di spicco del crimine organizzato americano dedito al traffico di stupefacenti, al riciclaggio di metalli preziosi e al gioco d’azzardo e “strettamente collegato”, è detto nelle carte dell’inchiesta, alle famiglie Gambino e Colombo ma anche considerato a capo di un sodalizio di cui avrebbe fatto parte Ernesto Toscano, di Rocca di Neto ma residente negli Stati Uniti.

LO SCENARIO INASPETTATO DELL’ASSE ITALO-AMERICANO CON TERMINALE LA ‘NDRANGHETA

Sul conto di quest’ultimo una fonte fiduciaria avrebbe spifferato agli inquirenti newyorkesi qualcosa sulle attività sospette da lui compiute tra Italia ed America. Toscano sarebbe entrato a far parte della criminalità organizzata newyorkese grazie al matrimonio con la moglie, titolare di un ingrosso di frutta e verdura, il cui padre, in passato, fu arrestato in Usa per possesso illegale di armi e venne indagato per un presunto traffico di stupefacenti.

Ma è appena il caso di rilevare che l’avvocato Francesco Falcone, per conto del suocero di Toscano, smentisce che sia stato arrestato e nega la veridicità della ricostruzione contenuta in atti d’indagine condivisi dalla polizia italiana e dal Fbi. Eppure Toscano sarebbe stato monitorato dallo Sco che avvertiva l’omologo organo federale di un imminente viaggio negli Usa nel settembre scorso, per svolgere una non meglio precisata attività lavorativa procacciata da Matozzo, intento poi sospeso perché il Governo americano nega il visto turistico per anomalie procedurali. Sarebbe stato Toscano, nell’agosto 2019, a inviare in Calabria Ennio Lerose, originario di Rocca di Neto e residente anche lui in Usa, perché contattasse gli zii Pietro e Martino Corigliano, ritenuti attualmente al vertice della ‘ndrina di Rocca di Neto, e chiedere loro di compiere un’estorsione a un imprenditore di Manhattan. L’estorsione sarebbe stata attuata a beneficio di Lerose.

COME NASCE LA JOINT VENTURE TRA COSA NOSTRA AMERICANA E LA ‘NDRANGHETA CROTONESE

C’era un “debito” non pagato da esigere con il rodato modus operandi della criminalità organizzata e la riscossione andata a quanto pare a “buon fine” avrebbe innescato la joint venture tra Cosa Nostra americana e ‘ndrangheta crotonese perché Matozzo si sarebbe successivamente avvalso dei servigi dei “bravi ragazzi” di Rocca di Neto anche per altre estorsioni, ovvero per i suoi crediti da riscuotere. Ecco perché l’Fbi sta cercando di individuare membri del clan Corigliano-Comito, le famiglie che attualmente sarebbero dominanti a Rocca di Neto, attivi a quanto pare anche negli Stati Uniti nelle estorsioni, forse anche nella droga e in altre attività criminali.

Del resto, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in primis quelle di Francesco Oliverio, ex boss della Valle del Neto, hanno messo gli inquirenti anche sulle tracce del possibile reinvestimento di capitali illeciti nella zona di New York da parte della cosca Iona dotata peraltro di contiguità con ambienti massonici. Negli Usa opererebbero i figli di Rinaldo Iona, cugino del boss Guirino. In particolare, Antonio Iona avrebbe riciclato nella Grande Mela proventi illeciti di cui si faceva collettore a Rocca di Neto e dintorni il fratello Geremia, stando a quelle rivelazioni che hanno innescato perquisizioni eseguite dalla polizia in Usa col supporto del Fbi.

LA PISTA DEI GIOIELLI DA VENDERE

Ma spunta anche la pista dei gioielli lungo l’asse criminale tra l’America e l’Italia. Secondo una fonte confidenziale del Fbi, Matozzo sarebbe coinvolto nella vendita di gioielli rubati, oltre che nella distribuzione di sostanze stupefacenti. E quando Toscano tornò in Calabria, Matozzo gli diede gioielli da vendere. In particolare, tra le utenze telefoniche monitorate poiché in contatto con Lerose c’è anche quella di Luigi Guzzi, titolare di un laboratorio di oreficeria a Cotronei, già denunciato per ricettazione di oro e preziosi, un dato finito sotto la lente degli inquirenti alla luce delle attività criminali che verrebbero attribuite a Matozzo, peraltro amministratore e proprietario della società “Oro Puro II”, sita a Franklin Square (NY). Dalle intercettazioni emergerebbe che Guzzi voleva tornare a lavorare a New York presso la “gioielleria” di Matozzo ma non è sicuro di poter essere impiegato perché Matozzo non fa contratti.

«Là tutti a nero sono», osserverebbe Toscano. Sarebbe emersa, in particolare, una prassi illegale che Matozzo e i suoi accoliti statunitensi erano soliti seguire con la cooptazione di calabresi da impiegare in non meglio precisate attività, tra cui presumibilmente lavori “in nero”, in diverse aree dello Stato di New York. Non a caso Toscano parlerebbe di ingenti guadagni, stimabili in oltre 5mila dollari al mese, maturati dopo soggiorni trimestrali in seguito al visto turistico. L’ipotesi degli inquirenti è che Matozzo abbia precostituito uno schema finanziario apparentemente pulito per mascherare proventi illeciti derivanti da azioni di ricatto, scommesse clandestine, gioco d’azzardo e reimpiego di preziosi e oggetti di valore.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE