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CATANZARO – Da nove anni percepivano emolumenti aggiuntivi illegittimi, decretati dalla struttura commissariale. Con questa accusa i finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro hanno sequestrato beni per oltre un milione e indagato per abuso d’ufficio 5 dirigenti veterinari e l’ex commissario ad acta per il piano di rientro del debito sanitario della Calabria Massimo Scura, l’ex sub commissario Andrea Urbani – attuale direzione generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute – e il coordinatore della task force veterinaria Pasquale Turno.

Secondo l’accusa, le indennità non erano dovute, in quanto, per norma di legge, l’incarico ricoperto non avrebbe dovuto comportare retribuzioni aggiuntive.

L’operazione è stata denominata “Artemide” e ha portato al sequestro preventivo per complessivi 1.019.579,05 euro, emesso, su richiesta della Procura, dal gip di Catanzaro Giulio De Gregorio, nei confronti dei seguenti soggetti:

  • 1. Arigoni Fabio, 60 anni, di Roccabernarda (Crotone), dirigente veterinario dell’Asp di Crotone, destinatario di sequestro preventivo per € 351.093,25;
  • 2. Grandinetti Gianluca, 58 anni, di Soveria Mannelli (Catanzaro), dirigente veterinario dell’Asp di Catanzaro, destinatario di sequestro preventivo per € 273.664,18;
  • 3. Anastasio Maurizio, 63 anni, di Rende (Cosenza), dirigente veterinario dell’Asp di Cosenza, destinatario di sequestro preventivo per € 323.649,74;
  • 4. Straticò Achille, 58 anni, di Bisignano (Cosenza), dipendente dell’Asp di Cosenza, destinatario di sequestro preventivo per € 86.247,36;
  • 5. Loprete Giuseppe, 73 anni, di Marina di Gioiosa Jonica (Reggio Calabria), già dipendente dell’Asp di Reggio Calabria, ora in quiescenza, destinatario di sequestro preventivo per € 75.529,10.

Si tratta di cinque dirigenti medici veterinari individuati dalla Regione Calabria per far parte della cosiddetta. “task force veterinaria”, indagati ora con l’accusa di abuso d’ufficio per aver indebitamente percepito, dal 2011 e fino al 2019, indennità stipendiali non dovute, in quanto per norma di legge l’incarico ricoperto non avrebbe dovuto comportare retribuzioni aggiuntive.

Il provvedimento giunge al termine delle indagini condotte dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Catanzaro, sotto la direzione del Sostituto procuratore Chiara Bonfadini, con il coordinamento del procuratore aggiunto Giancarlo Novelli e del Procuratore della Repubblica Nicola Gratteri.

Le investigazioni dei finanzieri hanno dimostrato che a partire dal 2011 e fino al 2019 i componenti della task force, pur essendo stati impiegati ai sensi della legge regionale 8/2003 – che prevede la possibilità di utilizzo dei dipendenti delle aziende sanitarie regionali senza oneri aggiuntivi – avevano indebitamente percepito, tre differenti emolumenti non dovuti. I pagamenti erano stati determinati con provvedimenti assunti dal coordinatore della task force medesima e dai vertici delle strutture commissariali per la sanità calabrese, nei cui confronti sono in corso ulteriori approfondimenti.

Tra l’altro, tali provvedimenti erano stati più volte censurati dalle strutture del Ministero della Salute, deputate a vigilare sulla gestione commissariale, in quanto si trattava di una retribuzione forfettaria ragguagliata a 10 ore settimanali di prestazioni aggiuntive. Questa indennità, in particolare, secondo le strutture ministeriali era “priva di ogni fondamento giuridico”, in quanto veniva corrisposta indipendentemente dallo svolgimento effettivo delle prestazioni aggiuntive. Anche i rimborsi chilometrici per le trasferte dall’Asp di appartenenza alla struttura regionale non erano dovuti, perché i componenti della task force dovevano fisicamente operare proprio all’interno della cittadella regionale. Sarebbero stati inoltre corrisposti compensi per ore di pronta disponibilità (reperibilità), che sarebbero astrattamente previsti solo per straordinarie e urgenti esigenze di servizio, esigenze che, in concreto, non sono state riscontrate.

L’erogazione delle indennità era proseguita senza soluzione di continuità sino a quando, alla fine dello scorso anno, il commissario ad acta in carica, in seguito a una richiesta di documentazione avanzata in sede investigativa, le aveva revocate con suoi provvedimenti.

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