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I giudici della Corte costituzionale

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COSENZA – L’idea del blocco delle esecuzioni per quattro anni nei confronti delle aziende sanitarie calabresi rischia di essere azzoppata prima di vedere la luce. Il colpo, non fatale ma quasi, arriva dalla Corte costituzionale che proprio due giorni fa ha emesso la sentenza n. 236/2021.

I giudici hanno dichiarato illegittima, quindi incostituzionale, la proroga del blocco delle esecuzioni nei confronti delle aziende sanitarie pubbliche. Un blocco, un congelamento, che il governo aveva avanzato in continuità con il primo stop del 2020 (7 mesi, da maggio a dicembre) prolungandolo fino a tutto il 2021 alla luce dell’emergenza pandemica. Un tentativo evidente di bloccare i pagamenti forzati per garantire un minimo di liquidità alle aziende pubbliche chiamata al grande sforzo della sfida al Covid.

Alcune imprese sanitarie private (e creditrici, con titoli in mano) fanno ricorso e tra queste la Villa Sant’Anna Spa di Reggio Calabria, evidentemente creditrice nei confronti dell’Asp di Reggio. Ricorso vinto.

Cosa c’entra tutto questo con la situazione calabrese? E’ presto detto. Nell’iter di conversione in legge del famigerato Decreto Calabria Forza Italia in Senato ha presentato un emendamento (primi firmatari Caligiuri e Mangialavori) in cui si ripropone, ma solo per le aziende calabresi il blocco dei pignoramenti allungandolo di quattro anni. Curiosamente nell’emendamento non si prevede anche il congelamento degli interessi che corrono a cifre vicine al 9% tanto da fare dichiarare tempo fa all’ex commissario Massimo Scura che l’Asp di Reggio Calabria era l’investimento più redditizio visto che assicurava rendimenti che nessun fondo d’investimento garantisce.

Ma anche in questo caso qualcuno potrebbe obiettare che l’emendamento presentato potrebbe salvarsi dalla scure della Corte costituzionale vista l’eccezionalità della situazione calabrese. Fra le motivazioni che hanno indotto a presentare l’emendamento c’è anche il tentativo di evitare i famosi doppi e tripli pagamenti. Ma si tratta, evidentemente, di un “costo” dovuto all’inefficienza delle Asp che non può essere ribaltato su chi vanta legittimamente un titolo di credito.

Per questo i vari creditori delle aziende calabresi, e i loro legali, sono sul piede di guerra pronti a sollevare l’eccezione di incostituzionalità. Non solo, ma sono convinti che avranno gioco facile a spuntarla anche se con tempi non prevedibili e, spesso non compatibili, con le dinamiche delle aziende private.
Tanta sicurezza deriva dal fatto che la Corte già si è espressa due volte su provvedimenti di egual tipo.

In particolare la Corte aveva dichiarato incostituzionale l’art. 1 comma 51 della legge N° 220 del 2010 con sentenza 186 del 2013 e, successivamente, stessa sorte aveva avuto l’art. 3 comma 8 del D. L. 2020/183 con sentenza n° 236 del 7 dicembre. La curiosità è che l’emendamento presentato da Forza Italia è un copia e incolla della seconda legge bocciata dalla Consulta.

Volendo sintetizzare la bocciatura è arrivata per due motivi. Il primo è che l’emergenza pandemica si è attenuata e bisogna tornare verso la normalità economica. Il secondo è che se un’azienda sanitaria privata è impossibilitata a incassare i suoi legittimi introiti viene messa in discussione – si legge nella sentenza – anche l’erogazione delle sue prestazioni al sistema sanitario nazionale e quindi, di conseguenza, l’innalzamento dei Lea, i livelli minimi di assistenza. Possiamo permetterci in Calabria un ulteriore corto circuito del sistema?

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