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Il collaboratore di giustizia Dante Mannolo

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CUTRO (CROTONE) – «Negli ultimi 20 anni i capi delle quattro famiglie di San Leonardo di Cutro hanno sostanzialmente deciso l’elezione del sindaco e della giunta comunale. Considerate che la frazione di San Leonardo è popolosa e dispone di circa 500 voti, costituendo l’ago della bilancia in ogni elezione. Per ogni elezione, preceduta da accordi tra i candidati e i maggiorenti della consorteria a cui appartengo, si è decisa la votazione in massa per il candidato prescelto, nel senso che mio padre, Trapasso, Falcone e Zoffreo ci indicavano chi votare». Parla anche di infiltrazioni nella vita politica e istituzionale, il collaboratore di giustizia Dante Mannolo, figlio di Alfonso, capo indiscusso dell’omonima cosca di San Leonardo di Cutro, con proiezioni nel Catanzarese e che negli ultimi anni, essendo stata colpita da maxi retate e caterve di condanne la cosca Grande Aracri, aveva preso piede pur facendo parte della più ampia “provincia” di ‘ndrangheta guidata dal capocrimine ergastolano Nicolino Grande Aracri.

C’è anche questo nelle ultime “cantate” versate dai pm Antimafia Domenico Guarascio e Paolo Sirleo tra gli allegati al mega avviso di conclusione delle indagini, notificato nelle settimane scorse a ben 94 persone, gran parte delle quali sottoposte a misure cautelari, nell’ambito delle operazioni Malapianta e Infectio scattate rispettivamente nel maggio e nel dicembre scorsi. Un’inchiesta già sfociata in 30 rinvii a giudizio mentre il resto degli imputati ha scelto il rito abbreviato. È il processo che, per l’indisponibilità di un’aula idonea a Catanzaro, si trasferì temporaneamente nell’aula bunker di Rebibbia. La cosca sanleonardese, dunque, «ago della bilancia» in grado di determinare l’elezione dei sindaci e di telecomandare ad ogni tornata la frazione che «in massa» votava candidati di riferimento del clan.

Rivelazioni che non dovrebbero stupire, specie se si consideri che, in seguito a elementi di un’altra indagine antimafia, quella che nel gennaio scorso ha portato all’operazione Thomas, si è insediata al Comune di Cutro la commissione d’accesso antimafia alle cui conclusioni ha aderito il Cdm. Del resto, Mannolo parla dei proventi della “bacinella”, ovvero la cassa comune del clan, in cui confluivano i proventi in gran parte derivanti, oltre che dalla droga, specialità storica della cosca, dalle estorsioni a cantieri pubblici, oltre che privati. Per esempio, il titolare della ditta che si aggiudicò il rifacimento del manto stradale a San Leonardo «fu avvicinato e pagò la mazzetta», così come avvenne per l’appalto dei rifiuti, e, tra quanti versavano il pizzo, Mannolo fa il nome di un imprenditore che si era aggiudicato i lavori sulla strada statale 106 all’altezza di Steccato, «amico di vecchia data» di suo padre.

Ma c’era proprio un sistema per l’accaparramento delle estorsioni agli imprenditori che si aggiudicavano gli appalti pubblici. «Il direttorio si riuniva e venivano mandati i ragazzi a chiamare i responsabili o a esigere direttamente la mazzetta». In particolare, a proposito dell’appalto dei rifiuti, racconta il pentito, «la ditta aggiudicataria fu avvicinata da… per conto delle famiglie cutresi (i cui vertici erano stati decapitati) e pretesero il pagamento di somme periodiche. Il direttorio decise che tutti i proventi andassero a Cutro poiché lo stato detentivo dei vertici abbisognava di un adeguato sostegno». I proventi per San Leonardo erano comunque «poca cosa» in quanto «abbracciavano principalmente il territorio dei Grande Aracri».

Tra gli imprenditori dei rifiuti, Mannolo conosce Domenico Rocca, di San Mauro Marchesato, già condannato a 8 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo Stige, che «ha ottenuto l’appalto sia a Botricello che a Simeri Crichi… pagava Mimmo Scumaci e Antonio Ferraro (presunti pezzi da novanta delle omonime consorterie del Catanzarese, ndr)… paga le famiglie di ‘ndrangheta ovunque si trovi a lavorare… è affiliato alla ‘ndrina di San Mauro Marchesato ed è legato a Lino Greco, capo di quella ‘ndrina (ex killer del gruppo di fuoco di Grande Aracri, poi assurto a boss e imprenditore anche in Piemonte, ndr)». I rifiuti erano cosa del clan se, come dice Mannolo, circa l’appalto della raccolta differenziata del Comune di Cutro, i “suoi” si sono «accordati per il pagamento di una tranche mensile con la ditta vincitrice». Dell’accordo ovviamente fu informato il padre del pentito, un boss la cui caratura criminale emerge non solo dalle ultime inchieste.

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