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CROTONE – «Questa difesa, nel rispetto delle vittime e delle persone offese, non ritiene debba accogliersi il richiamo alla ragion di Stato, tale da indurre alla meschinità della tutela della tradizione di un popolo che si proietta nel mare, nel rispetto della sua legge, per confinare, quindi, la tragedia nell’oblio delle fatalità. La tradizione di un popolo, si tutela con la verità».

Già, la tradizione. Quella autentica. Non l’invenzione della tradizione. Circola da alcuni giorni, tra i familiari, rimasti a Crotone, delle vittime del tragico naufragio di Steccato di Cutro del 26 febbraio scorso, la memoria depositata, nel loro interesse, dagli avvocati Luigi Li Gotti, Mitja Galuz, Vincenzo Cardone e Francesco Verri, presso la cancelleria del procuratore Giuseppe Capoccia che indaga, anche, sulla macchina dei soccorsi. Se la sono fatta tradurre.

Il Quotidiano ha avuto modo di visionarne alcune pagine. Il punto nodale sembra essere quello ruotante attorno all’obbligo di intervenire che le autorità italiane avrebbero disatteso. «Le fonti richiamate stabiliscono in maniera univoca il primato assoluto dell’obbligo di salvaguardare la vita umana in mare, rispetto a tutte le altre finalità connesse alla sorveglianza delle frontiere marittime: l’obbligo di ricerca e soccorso in mare è disposizione di diritto consuetudinario chiara, precisa e incondizionata», scrivono i legali dopo aver passato in rassegna il quadro normativo nazionale e sovranazionale di riferimento, che va rapportato ai fatti. Ed è un fatto oggettivo che la sera del 25 febbraio, alle ore 23.03, Frontex abbia segnalato un natante, a 40 miglia al largo della costa jonica, con numerose persone nella stiva e molti oblò aperti, in viaggio col mare forza quattro e con una sola persona in coperta.

Non sarebbe stato azzardato ipotizzare che si trattava di un’imbarcazione che trasportava migranti segregati nella stiva per sfuggire ai controlli, in una zona da 30 anni battuta da trafficanti di esseri umani. La segnalazione, altro fatto oggettivo, è stata inoltrata al quartier generale della Guardia di Frontiera europea italiana, presso il Comando Aeronavale della Guardia di Finanza, a Pratica di Mare; al Centro marittimo italiano di coordinamento della Guardia Costiera; al Centro di Coordinamento nazionale presso il ministero dell’Interno.

Alla mezzanotte e mezza, il Comando operativo aeronavale della Guardia di Finanza di Pratica di Mare analizza i dati relativi a una telefonata satellitare partita dall’imbarcazione. Frontex, in particolare, comunica che l’utenza ricevente era situata in Turchia e, quindi, non suscettibile di localizzazione. È lo stesso ministro Piantedosi a riferire in Parlamento dell’intervento in due occasioni di unità navali della Guardia di Finanza, rientrate definitivamente in porto, dopo l’uscita delle ore 2.20, alle ore 3.30, a causa delle pessime condizioni del mare, affrontate, però, dall’imbarcazione avvistata, che era «di ben diversa minore consistenza», osservano i legali con riferimento al caicco “Summer Love”, il legno malandato e senza sedili su cui si sono avventurati in 180 dopo il trasbordo.

Sembrava molto peggio, agli stessi migranti, della “Luxury 2”, con cui erano salpati dalla spiaggia turca di Cesme, e che ebbe problemi al motore e fu sostituita col caicco dagli scafisti dietro cui, evidentemente, c’è la regia di un’organizzazione che dispone di una serie di imbarcazioni, più o meno fatiscenti, per i viaggi della speranza. Il natante prosegue fino a schiantarsi contro una secca a poche decine di metri dalla costa, nei pressi della  foce del fiume Tacina.

In barba, secondo la ricostruzione dei legali dei familiari delle vittime, all’articolo 7 del decreto del Ministero dell’Interno del 14 luglio  2003, secondo cui “nell’assolvimento del compito assegnato l’azione di contrasto è sempre improntata alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona”; in barba, anche, alla legge n. 147 del 3 aprile 1989 (Adesione alla Convenzione Internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo), che individua fasi di emergenza, incertezza, allarme e pericolo mai applicate; in barba a tutto un complesso di norme a cui bisogna aggiungere che il Consiglio d’Europa, nella Raccomandazione a firma della Commissaria per i diritti umani dal titolo “Vite salvate. Diritti protetti” pubblicata nel mese giugno 2019, ha precisato che “le imbarcazioni che trasportano rifugiati, richiedenti asilo e migranti sono invariabilmente sovraffollate, inadatte a lunghi viaggi, soprattutto in caso di mare mosso, e non hanno generalmente un equipaggio competente né attrezzature per la navigazione.

Di conseguenza, tali imbarcazioni dovrebbero essere considerate in pericolo dal momento stesso in cui iniziano il loro viaggio”, accade ciò che, forse, si sarebbe potuto evitare. Tanto più che nei porti di Crotone e Roccella due motovedette classe “300” della guardia costiera restano ferme. Escono dopo il naufragio. Gli avvocati parlano di un «maledetto corto circuito». Ma ecco su cosa chiedono alla Procura di indagare: dall’eventuale riferibilità all’imbarcazione naufragata della richiesta di aiuto (mayday), ricevuto dalla Capitaneria di Porto di Roccella Ionica, alle ore 20.51 del 24 febbraio all’eventuale riferibilità all’imbarcazione naufragata, anche, del messaggio di distress  a tutte le navi in transito nel mare Ionio, con apertura di “SAR case 384”. I legali chiedono se sia stato rintracciato il natante da cui è partito il mayday.

Dubbi anche su chi abbia ricevuto e valutato la segnalazione di Frontex con indicazione di una sola persona sopra coperta, gli oblò di prua aperti, il mare forza 4, la presenza di persone sottocoperta con la risposta termica proveniente dagli stessi oblò, l’assenza di salvagenti a bordo. I legali chiedono, inoltre, di appurare se, a chi e con quale contenuto, sia stata diramata la segnalazione di Frontex, dal Centro di Coordinamento nazionale di cui sopra; se vi siano state, da chi a chi e a che ora, altre segnalazioni o disposizioni circa la comunicazione giunta da Frontex, alle 23.03 del 25 febbraio. Chiedono se sulle decisioni assunte abbia influito l’Accordo operativo del Ministero dell’Interno del 14 settembre 200 – allora il ministro dell’Interno era Beppe Pisanu ed era in carica il governo Berlusconi – rimasto lettera morta, nel senso che le forze dell’ordine sono sempre uscite in mare per salvare vite, fino a una direttiva del Viminale del 2019.

Quando il ministro era, invece, Matteo Salvini, che chiese alle forze dell’ordine italiane di attenersi rigorosamente al documento del 2005, che impone di intervenire per il salvataggio soltanto nel caso sia aperto un evento Sar. Prima, l’operazione è di polizia marittima. E ancora, i legali chiedono di sapere, dopo che la Guardia di Finanza comunicava che le condizioni meteomarine rendevano impossibile la navigazione della motovedetta 5006 della Sezione operativa navale di Crotone e del pattugliatore veloce “Barbarisi” del Gruppo Aeronavale di Taranto, come abbia risposto la Capitaneria di porto.

Chiedono di sapere perché il 9 settembre 2020 (e in molti altri casi) la Guardia di Finanza e la Guardia Costiera abbiano soccorso un’imbarcazione con 97 persone a bordo in balìa delle onde con mare forza 5 diretta sullo stesso tratto di costa, a differenza della notte del 26 febbraio 2023. Cosa è cambiato, insomma, dopo quella direttiva del Viminale?

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