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La sede della Bcc del Crotonese

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CROTONE – Come faceva la Bcc del Crotonese ad avere tra i propri clienti, con profilo di rischio antiriciclaggio “irrilevante”, Elisabetta Grande Aracri, figlia del noto boss di Cutro, Nicolino, a capo di una “provincia” di ‘ndrangheta i cui tentacoli si allungano su mezza Calabria e parte dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto?

Anche per questo i militari della Guardia di Finanza del Nucleo speciale di polizia valutaria e i loro colleghi del Comando provinciale di Crotone, coordinati dal pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio, hanno eseguito un decreto di applicazione della misura dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende nei confronti di quello che è considerato uno dei maggiori istituti di credito operanti in Calabria.

Una banca che aveva “in pancia”, almeno secondo l’accusa, soci appartenenti o contigui alla ‘ndrangheta. Ben 791 soci, su 2353, avevano precedenti di polizia, dei quali 108 per reati emersi da un controllo giudiziario delle aziende e 22 coinvolti, direttamente o indirettamente, in indagini antimafia. Eppure spesso per loro il profilo di rischio antiriciclaggio era “irrilevante” o “basso”.

Il provvedimento di natura cautelare è stato adottato in base al codice antimafia dal Tribunale di Catanzaro sulla base delle indagini svolte dalle Fiamme gialle che avrebbero ricostruito come la banca sarebbe stata lo strumento grazie al quale esponenti di spicco della ‘ndrangheta, anche indirettamente, avrebbero «avuto libero accesso all’utilizzo del sistema bancario; beneficiato di forme di agevolazione che la banca riconosce ai propri soci (quali ad esempio apertura di conti corrente, erogazione di credito, investimento di capitali); partecipato alla vita sociale attraverso l’espressione del consenso sulla elezione degli organi sociali». Infine, avrebbero eluso le stringenti maglie della normativa antiriciclaggio «agevolati dalle modalità di gestione dell’istituto di credito», ad esempio attraverso l’assegnazione alla clientela di un basso livello di rischio di riciclaggio, o mediante la compilazione lacunosa di questionari di adeguata verifica nei confronti dei clienti e l’omessa segnalazione di operazioni sospette nonostante ne ricorressero i presupposti.

Uno degli esempi di gestione del presidio antiriciclaggio «quantomeno superficiale o negligente» è dato dalla posizione della figlia della super boss. Dalle intercettazioni eseguite nei giorni successivi all’operazione antimafia Farma Business, con cui nel novembre 2020 furono disarticolati i nuovi assetti della cosca di Cutro, emerge che il direttore generale della banca, Cosimo Leonardo Puglia, su sollecitazione di Pierfilippo Verzaro, presidente del cda dell’istituto succeduto a Ottavio Rizzuto dopo le dimissioni conseguenti al suo arresto per concorso esterno in associazione mafiosa nell’operazione Thomas, risalente al gennaio dello stesso anno, chiede di verificare se qualcuno degli indagati avesse avuto rapporti con la banca. Ne spuntano due. L’imprenditore Gaetano le Rose e la figlia di Grande Aracri, entrambi arrestati.

«Com’è possibile?», chiede Verzaro al dipendente Pierpaolo Caligiuri. «É scappata… però la movimentazione del conto è irrilevante». Ma secondo Verzaro la vicenda mette in luce negativa la banca, su cui già ombre si erano allungate dopo il caso Rizzuto. «Se mannamo ‘sta roba in Banca d’Italia ci pigliano a calci in c…». Caligiuri ammette che «non ci sono scusanti» mentre il direttore rimane «basito». Eppure l’addetto alla funzione antiriciclaggio della banca rileva che «Grande Aracri ce ne sono tanti» e obietta: «perché dev’essere a profilo alto la figlia del boss?».

E’ una delle «macroscopiche problematiche» finite al vaglio anche della Banca d’Italia e attribuibili a carenze degli organi di controllo e della funzione antiriciclaggio, almeno secondo gli inquirenti, ma la discontinuità col passato che si chiedeva alla capogruppo Iccrea non si sarebbe verificata, forse perché il responsabile Aml continuava a essere lo stesso o perché «figure storiche» come lo stesso Rizzuto ma anche Vincenzo Mungo, presidente del collegio sindacale e parente di esponenti della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, «hanno continuato e continuano a esercitare la propria influenza curando i propri interessi nell’istituto».

Tra gli elementi confluiti nel decreto, le dichiarazioni dell’ex dg Giampiero Gallo che ha narrato di quando il boss di Isola Nicola Arena si presentò a lui in questi termini: «dicono che non conto più niente e invece conto, e se ha bisogno di qualcosa noi siamo a disposizione». Ma eravamo nell’era Rizzuto. Il punto è che l’ex presidente, anche quando non ricopriva più alcun incarico formale nella banca, avrebbe continuato a esercitare la propria leadership e influenza, mostrandosi sempre interessato alle dinamiche dell’istituto.

Per esempio, sfruttando i contatti con l’amministratore pro tempore, attraverso il quale avrebbe espresso preferenze e indicazioni circa i candidati alle elezioni del nuovo cda, alcuni effettivamente eletti, ma anche boicottando un progetto di fusione e contrastando i nuovi assetti. A Rizzuto andavano bene, a quanto pare, pure i candidati della lista “concorrente”. «Prendiamo dentro quelli che interessano pure a noi e integriamo con le nostre figure… e abbiamo chiuso veloce la lista». «Ti tengo informato», avrebbe risposto l’interlocutore di Rizzuto.

La fusione? «Non gliela faccio fare mai». Dalle intercettazioni a carico di Mungo emerge uno scenario analogo. «La porta a noi non ce la chiude nessuno…anche perché prima di avere il ruolo che abbiamo siamo soci…quindi abbiamo sempre diritto di andare e avere le informazioni che ci interessano…non è che siamo completamente fuori, rimaniamo sempre dentro».

Ma basta il rapporto ispettivo redatto da Banca d’Italia nel 2020 per rendersi conto che soltanto nel biennio 2017-19 la Bcc ha accolto nel portafoglio clienti circa 500 persone sottoposte a accertamenti nelle inchieste antimafia di quel periodo: 82 coinvolti nell’operazione Jonny, 31 nell’operazione Stige, 8 nell’operazione Ciclope, 2 nell’operazione Malapianta, 71 nell’operazione Thomas, quella in cui fu arrestato l’ex presidente Rizzuto.

Un’anomalia su cui rifletteva l’ex dg Castrovillari durante una conversazione captata: «alcuni erano nascosti, altri meno evidenti.. alcune operazioni borderline… ovviamente che poi la situazione abbia degli strascichi, alcune forme di condizionamento le abbiamo avvertite, altre non consapevoli, probabilmente anche questo è vero». Il provvedimento dovrebbe ora tutelare la parte sana della clientela e contribuire al risanamento.

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