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Una valigia di banconote sequestrata nel corso di un’operazione antimafia e il boss di Papanice Domenico Megna

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Operazioni di riciclaggio di denaro, trasportato in un doppiofondo di un auto in Montenegro, per poi acquistare una albergo a Gardaland

CROTONE – Cinque milioni di euro trasportati in Montenegro su un’auto con doppiofondo per operazioni di riciclaggio, con quei soldi, una volta ripuliti, volevano acquistare un albergo vicino Gardaland. C’è anche questo nei voluminosi faldoni dell’inchiesta che nelle settimane scorse ha portato all’operazione Glicine Acheronte.

TUTTI I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE GLICINE

Puntavano agli affari grossi i broker della cosca Megna, stanziata nel quartiere collinare Papanice, a Crotone. Sarebbe stato Mario Megna, nipote di Domenico – il boss che qualcuno osò chiamare “pecoraro” venendo poi ucciso per l’affronto – l’uomo del clan incaricato di compiere una serie di attività illecite per ingerirsi nel mondo della finanza clandestina, operando su “conti dormienti” ed utilizzando “schede nere” o bonifici bancari le cui tracce venivano cancellate con l’ausilio di direttori di banca compiacenti.

Una prima operazione di riciclaggio sarebbe stata eseguita nel novembre 2019 in Montenegro, dove metà di quei cinque milioni sarebbero stati consegnati a intermediari non identificati. La cosca, inoltre, stava per essere dotata di schede nere provenienti da Svizzera e Germania di cui una con disponibilità di 3,7 milioni direttamente consegnata a Mario Megna. La parte tecnica l’avrebbero curata più hacker venuti dalla Germania e di stanza a Crotone. Per questo il rampollo del clan si vantava con l’ex genero di Calisto Tanzi, il parmigiano Stefano Strini, coinvolto anche lui nel crac Parmalat, di aver in mano qualcosa che neanche il suo ex suocero avrebbe “mai visto”.

In pullman da Crotone a Mantova

C’è un gruppo di conversazioni intercettate attraverso cui i carabinieri del Ros, coordinati dal pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio, ricostruiscono il presunto riciclaggio internazionale in Montenegro. La storia inizia con un viaggio in pullman da Crotone a Mantova, dove Megna viene accolto dall’imprenditore Mauro Prospero, che i pentiti definiscono come contiguo alla cosca, e lo porta a casa sua, a Monzambano. Gli inquirenti captano una serie di colloqui, alla presenza anche di Placido Vicario, dipendente di La Castellana spa, la società che gestisce il Garda Village di Sirmione di proprietà dello stesso Prospero. Megna discute di affari che la cosca vuole realizzare in Lombardia e Veneto grazie all’appoggio di Prospero, che prospetterebbe al nipote del boss la possibilità di acquisire una struttura ricettiva dismessa nei pressi del noto parco divertimenti. «Quell’albergo grosso che viene dopo Gardaland».

A quel punto Megna fa presente che la cosca avrebbe messo a punto un progetto per l’acquisizione di enormi capitali, rivelando la presenza a Crotone di esperti di pirateria informatica. «Hanno preso due hacker, uno tedesco, sono cervelloni, lavorano accoppiati, ci hanno messo tre anni, per metà sono soldi dell’Oriente e per metà italiani». Prospero ribatte di essere già al corrente della possibilità di lucrare sulla movimentazione di rilevanti capitali esteri, facendo riferimento alla “nave di Gheddafi”, ovvero il tesoro dell’ex leader libico quantificato da inchieste giornalistiche in centinaia di miliardi occultati nei paradisi fiscali.

Il terreno di fianco a Gardaland con i soldi arrivati in Montenegro

Subito dopo, Prospero e Placido ribadiscono la possibilità di reimpiegare le risorse nell’acquisizione di «un terreno di fianco a Gardaland, che Gardaland lavora undici mesi all’anno… un albergo a Gardaland». Megna, che si proponeva come “garante di ‘ndrangheta”, annunciava che avrebbe organizzato un secondo viaggio in Lombardia per parlare con coloro che stavano realizzando il progetto criminoso: «quando vengono gli spieghi tutto a loro, io solo i contatti tengo o se hanno problemi vado io». Nuovo viaggio in Lombardia, dunque, stavolta a Rho, dove Megna incontra il pregiudicato lucano Vito Parisi che spiega di essere in contatto con persone alla ricerca di direttori di banca compiacenti in Svizzera per movimentare anche centinaia di milioni «con i Pos». «Per ogni milione che prendono ti danno 100mila euro».

Ma è a colloquio col mantovano Gianni Melchiori, commerciante di autoveicoli ritenuto dagli inquirenti un riferimento imprenditoriale dei Megna al Nord, durante un incontro a Verona, che il rampollo del clan racconta che a breve gli sarà consegnata una carta di credito con una rilevante dotazione economica. Le card provenivano da Germania e Svizzera. Inoltre, sempre Megna avrebbe rivelato che la cosca aveva già portato a compimento una di queste operazioni in Montenegro, tanto che si mette a ridere quando il suo interlocutore dice che aveva bisogno di appena 20mila euro. Il riferimento potrebbe essere al circuito delle carte di credito offline su cui ha fatto rivelazioni il misterioso faccendiere di Cropani Giuseppe Antonio Mancuso: «vengono caricate in Russia, Croazia e Montenegro da direttori di banca compiacenti che in tal modo riciclano i proventi in contanti di svariate organizzazioni criminali».

Le carte di credito estere

Mancuso era una gallina dalle uova d’oro su cui il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri aveva messo le mani. Del resto, che componenti della cosca Grande Aracri disponessero di carte di credito estere legate a conti accesi in Montenegro ha parlato anche il pentito Salvatore Muto. Ma è a Giacomo Pacenza, altro riferimento per la cosca Megna, subito dopo incontrato a Parma, che il nipote del boss papaniciaro svela nei dettagli l’operazione. «Numeri di questi qua non ne hai mai visti, cinque milioni nel Montenegro, siamo andati con una macchina con il sottofondo, manco ci credevo».

Sempre a lui svelerebbe che la cosca opererebbe su conti esteri dormienti, indicandoli come “quelli di Bin Laden”, appropriandosi di giacenze e movimentandole con transazioni eseguite grazie a bancari compiacenti. «Tutti quelli che sono deceduti e hanno lasciato i soldi e non sanno come smaltire i soldi». E ancora: «si tratta di centinaia di milioni e li caricano sulla carta… ora hanno preso cinque milioni la settimana scorsa dal Montenegro…li hanno caricati in una macchina e li hanno portati…li fanno tramite computer, c’è il direttore che si prende il 40 per cento, incassi i soldi e spariscono le tracce, si chiamano off e on, quelle off spariscono subito, quelli on se uno fattura te li mandano ed è tutto a posto».

L’incontro con l’ex genero di Tanzi

A Parma, Megna incontra anche l’ex genero di Tanzi, secondo gli inquirenti membro di una cellula del clan operante nella città emiliana. A lui, stando alla ricostruzione della Dda catanzarese, Megna svela altri particolari.

«Qualche volta hai sentito parlare dei conti dormienti? Sono due persone, tu sei Stefano Strini, ex genero di Calisto Tanzi e di Chiesi (il riferimento è con ogni probabilità ad Anita Chiesi, moglie di Tanzi, ndr), io quello che ho in mano non l’ha mai visto né Calisto Tanzi né Chiesi e te lo giuro sui miei figli…La settimana scorsa… gli ho detto… tieni qua e vai in Montenegro. Ha preso ed è andato in Montenegro ed è svenuto, ha detto che è stato in ospedale, cinque milioni di euro ha portato, in macchina, nel sottofondo… questo qua è venuto e ha detto… queste cose si possono mettere… i computer in un posto… gli ho detto “metteteli”, sono andati a prende i computer, ti fanno vedere numeri mai visti… in questo giro non è nessuno, va lui in Germania e gli consegnano una scheda».

Milano, Montenegro, Svezia e Gardaland

Megna prosegue sottolineando il carattere della transnazionalità delle operazioni illegali. «Lo sto facendo a Milano, in Montenegro, lo stanno facendo dappertutto, stanno provando in Svezia». Megna fa anche riferimento alla documentazione necessaria per fornire una copertura di liceità, garanzie tali da giustificare in banca lo spostamento fraudolento di denaro. Del mercato delle false garanzie bancarie appoggiate su banche svizzere, del resto, aveva parlato il pentito Muto, ex riferimento mantovano del boss cutrese Grande Aracri.

Un «gioco che deve valere la candela», spiega sempre Megna all’ex genero di Tanzi, perché «se mi condannano che faccio, due, tre anni?», ma «se mi va bene sto provando a dare la svolta». Già. Cinque milioni portati in auto fino in Montenegro potevano essere davvero la “svolta”. Ma per il momento Mario Megna è in carcere, così come, tra gli altri, lo stesso Strini e il loro capo, il boss di Papanice.

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