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Alfonso Mannolo, Remo Mannolo, Francesco Falcone, Giuseppe Benincasa

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Diciotto condanne nel processo che portò alle operazioni Malapianta e Infectio. Confermati i 30 anni di reclusione ad Alfonso Mannolo e 19 al figlio Remo.

CUTRO – «La guardianìa è come il matrimonio, un male necessario». Con le sue dichiarazioni spontanee Alfonso Mannolo, presunto vertice dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta stanziata a San Leonardo di Cutro e con proiezioni in Umbria, in primo grado fece un autogol, aggiungendo un’ammissione al già corposo materiale probatorio. Anche in Appello è per lui la più elevata delle 18 condanne inflitte nel processo col rito ordinario scaturito dall’inchiesta che portò alle operazioni Malapianta e Infectio, con cui la Dda di Catanzaro riteneva di aver inferto un duro colpo al clan. Confermati, dunque, i 30 anni di reclusione inflitti ad Alfonso Mannolo ma anche i 19 anni comminati al figlio Remo.

Sono 14 le rideterminazioni di pena, alcune delle quali frutto di concordato, ma per posizioni minori. Regge sostanzialmente l’impianto accusatorio. Il pg Pasquale Mandolfino, applicato anche in Appello al procedimento (ma l’inchiesta fu coordinata dal pm Domenico Guarascio), ha chiesto e ottenuto che venisse acclarata l’operatività della cosca Mannolo, che avrebbe imposto il racket ai villaggi turistici della costa jonica; ma anche che venissero riconosciute le articolazioni in Umbria in sinergia col clan Commisso di Siderno. In primo grado, si ricorderà, il boss, collegato in videoconferenza, si era autodifeso brandendo un Crocifisso e sostenendo che lui non aveva mai tradito Cristo.

Confermate, ad eccezione di quelle in favore del Comune di Perugia, le statuizioni civili. Sono state disposte in favore della Regione Calabria, del Comune di Cutro (difeso dall’avvocato Salvatore Rossi) del gruppo Maresca, di Banca Unicredit, dell’imprenditore Stefano De Gaspari, di Alberghi del Mediterraneo srl – società che gestisce il villaggio turistico Porto Kaleo – e dell’imprenditore proprietario del villaggio stesso, vessato per anni dalla cosca Mannolo, il testimone di giustizia lametino Giovanni Notarianni, assistito, come anche la società, dall’avvocato Michele Gigliotti. Per alcuni imputati sono stati però revocati alcuni dei risarcimenti disposti in primo grado.

L’INCHIESTA

L’inchiesta accorpa le risultanze di due maxi operazioni. L’operazione Malapianta, condotta dalla Guardia di finanza di Crotone, che nel maggio 2019 portò a 35 fermi, mise fine al giogo mafioso imposto dalla cosca su un vasto territorio che da San Leonardo si estende alla fascia jonica catanzarese. Gli inquirenti ritengono di aver dimostrato come il clan, pur dipendente dalla cosca Grande Aracri di Cutro, avesse asservito i villaggi turistici del litorale – specie Porto Kaleo e Serené – e potesse vantare ramificazioni operative in Puglia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e proiezioni estere. Senza dire del dominio incontrastato nel traffico di droga fra le province di Crotone e Catanzaro e dell’usura, praticata nei confronti di diversi imprenditori anche nel Nord Italia.

La mente imprenditoriale era ritenuto Dante Mannolo, figlio del presunto boss e oggi collaboratore di giustizia. L’operazione Infectio, condotta dal Servizio centrale operativo della polizia e dalle Squadre Mobili di Perugia e Catanzaro, scattata, invece, nel dicembre 2019, avrebbe fatto luce su un’associazione mafiosa, un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di armi clandestine, e un’associazione volta alla commissione reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi bancarie. Nel maggio scorso, la Corte d’Appello di Catanzaro dispose pene per 270 anni nel troncone processuale svoltosi col rito abbreviato.

LE DECISIONI

Ecco le decisioni posizione per posizione (in parentesi quelle di primo grado). Alberto Benincasa (di 44 anni), di Perugia: (4 anni e 6 mesi) 3 anni e 6 mesi; Giuseppe Benincasa (70), nato a Cerenzia e residente a Perugia: (17 anni e 2 mesi) 7 anni; Antonio De Franco (57), nato a Cirò Marina e domiciliato ad Assisi: (13 anni) 7 anni; Ciro Di Macco (67), di Fiuggi: (3 anni e 6 mesi) 2 anni; Francesco Falcone (67), di Cutro: (16 anni) 15 anni e 9 mesi;

Roberto Fusari (59), di Perugia: (3 anni e 9 mesi) 2 anni e 6 mesi; Antonella Bevilacqua (39), di Crotone: 11 anni (11 anni); Mario Cicerone (7 anni e 6 mesi) 4 anni e 6 mesi; Luca Trabucco Mancuso (34), di Perugia: (4 anni) 3 anni; Piero Giacchetta (61), di Corciano: (3 anni) 2 anni; Paolo Menicucci (70), di Corciano: (5 anni) 3 anni; Luigi Giappichini (51), di Perugia: (5 anni) 7 mesi; Armando Manetta (34), di Crotone: 4 anni (4 anni);

Alfonso Mannolo (84), di Cutro: (30 anni) 30 anni; Remo Mannolo (51), di Cutro: (19 anni) 19 anni; Annunziato Profiti (56), di Vibo: (4 anni) 4 anni; Pasquale Profiti (59), di Vibo: (7 anni) 5 anni; Renzo Tiburzi (73), di Foligno: (3 anni) 2 anni; Pietro Russo (41), di Cotronei: (2 anni e 4 mesi) 7 mesi.

LA DIFESA

Gli imputati erano difesi dagli avvocati Nuccio Barbuto, Paolo Carnuccio, Salvatore Iannone, Pietro Pitari, Mario Prato, Giovambattista Scordamaglia, Aldo Truncè, Gregorio Viscomi.

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