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Nicolino Grande Aracri

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CUTRO – L’aristocrazia della ‘ndrangheta temeva per il “finimondo” che si sarebbe potuto scatenare con il “pentimento” del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri. Perché un boss di quella caratura, uno che stava per fondare addirittura un crimine autonomo da Polsi, avrebbe potuto fare rivelazioni scottanti.

Qualche giorno dopo la notizia (pubblicata in via esclusiva dal Quotidiano del Sud) della collaborazione con la giustizia del mammasantissima, poi rivelatasi una “farsa” nel senso che Grande Aracri voleva soltanto salvare i più stretti congiunti dalle nuove indagini, il 20 aprile 2021, Giovanni Morabito, medico in servizio presso case di cura nell’hinterland milanese e figlio di Giuseppe, lo storico boss di Africo detto “Tiradrittu”, ne parlava in una conversazione intercettata dalla Dda del capoluogo lombardo nell’ambito di un’inchiesta che ha portato a 18 misure cautelari facendo luce su traffici di droga, estorsioni e su un sistema di società cartiere che avrebbe consentito di lucrare illecitamente con Ecobonus, falsi crediti d’imposta e truffe dei fondi Covid.

A colloquio con il coindagato Antonio Bruno, originario di Isola Capo Rizzuto e amministratore di fatto di una delle società coinvolte poiché dedite a fatturazioni inesistenti, che gli chiedeva se «ha visto chi si è buttato» (pentito, ndr), Morabito osserva che «farà brutti danni» e spera che «si fermino lì i danni». Poi aggiunge che «se parla solo dei politici si salva» e prosegue rilevando che «anche a Reggio non si capisce più nulla», probabilmente alludendo alla proliferazione di pentiti, tanto che Bruno replica affermando che «non ci sono più gli uomini di una volta».

Morabito era convinto che Grande Aracri avrebbe fatto “brutti danni” non solo nella sua provincia ma «in tutti», cioè in tutta la Calabria. Intanto salgono in ascensore, con loro c’è un altro isolitano coindagato, Luigi Fiore, anche lui implicato nel sistema delle false fatturazioni, e Morabito afferma che «a loro conviene non scendere per adesso a Crotone». Bruno spera che il nuovo pentito menzioni soltanto i “collusi”, forse con riferimento ai politici, e Morabito dice che gli inquirenti «non accetteranno solo queste dichiarazioni ma vorranno anche altro».

Giovanni Morabito ne parla, in un altro colloquio intercettato, il 28 maggio 2021, anche con Santo Pasquale Morabito, figlio di Rocco classe ’27, cugino di primo grado del “Tiradrittu”. Dopo aver commentato la sentenza definitiva di condanna nei confronti del “Tiradrittu” per traffico di stupefacenti, Giovanni Morabito si lamenta che «nessuno vuole fare più la galera… se la cantano tutti o pubblicamente o di nascosto…» e alludendo al «finimondo nel Crotonese», con evidente riferimento alla collaborazione con la giustizia di Grande Aracri, lo indicava senza mezzi termini come un “pezzo di merda”.

Commentando, infine, l’arresto del latitante Rocco Morabito, cugino del “Tiradrittu”, avvenuto soltanto quattro giorni prima in Brasile (esattamente il 24 maggio), Morabito ipotizzava che le forze dell’ordine fossero risalite alla sua individuazione grazie alle indicazioni di qualche pentito.

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