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Il boss Nicolino Grande Aracri

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CROTONE – Alla caterva di condanne già divenute definitive bisognava aggiungere le pene da rideterminare. E ieri un’altra raffica di condanne – una trentina – è passata in giudicato nel troncone del maxi processo Herakles. Il filone forse più travagliato, perché parliamo del processo ter, dopo vari rimpalli dalla Cassazione. Ma il verdetto emesso in appello (il terzo appello), nel gennaio 2016, dalla Corte d’assise d’Appello di Catanzaro, è stato sostanzialmente confermato.

Ieri a tarda ora, gli ermellini hanno pressoché rigettato tutti i ricorsi difensivi, rideterminando la pena per il solo Antonio De Biase, a 9 anni e 4 mesi di reclusione. Dovranno scontare condanne elevate una trentina di boss e gregari delle cosche del Crotonese, molti già detenuti per altro. L’appello della Procura è stato respinto in relazione ad alcuni aumenti di pena. Tra le assoluzioni confermate spicca quella per il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, alla fine scagionato per la tentata rapina al portavalori del maggio 2000.

Le vicende giudiziarie successive lo hanno poi consacrato come capo di una nuova “provincia” di ‘ndrangheta. Nell’Appello bis furono cinque i secoli di pena inflitti , ma le ipotesi di reato attribuite ai colletti bianchi accusati di collusione con i clan, con particolare riferimento alla vicenda Europaradiso, il megavillaggio turistico che, secondo l’accusa, stuzzicava l’appetito della ‘ndrangheta, non ressero. La pena più alta resta quella per Leo Russelli, boss scissionista della cosca del quartiere Papanice: 15 anni e 6 mesi. L’appello bis, in particolare, ripristinò, ma in taluni casi con una riforma in peius, la situazione fotografata dalla sentenza del maxiprocesso a carico di 93 imputati che in primo grado, nel marzo 2010, davanti al gup distrettuale, si definì con condanne per oltre cinque secoli nei confronti di 63 presunti affiliati alle cosche. Le condanne disposte dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro salirono a 66.

In Appello, il primo, quello dell’aprile 2011, a maxiriduzioni di pena, concesse tra le polemiche, seguirono scarcerazioni a raffica. Se 30 furono le assoluzioni disposte col rito abbreviato, che nel primo Appello aumentarono, nel secondo scesero a 27. Nel primo Appello gran parte dei condannati ebbe sconti di pena, e in alcuni casi addirittura le sanzioni inflitte nel marzo 2010 dal gup distrettuale di Catanzaro furono dimezzate. Nel secondo le posizioni di molti imputati peggiorarono rispetto al primo grado. La prima Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro non accolse, infatti, le richieste del sostituto procuratore generale Raffaela Sforza che si era sostanzialmente rifatta alla tesi del pm Pierpaolo Bruni sostenendo che non dovessero essere condannati soltanto i mafiosi ma anche i colletti bianchi. Ressero anche in Appello, però, molte imputazioni connesse a vicende di mafia, estorsione, droga.

L’impianto dell’inchiesta condotta da Bruni, che coordinò l’indagine della Squadra Mobile della Questura, csostanzialmente regge ma ci sono state anche in Cassazione alcune riduzioni di pena e assoluzioni. La Suprema Corte, infatti, annullò la prima sentenza d’Ap – pello con rinvio, accogliendo in toto l’appello del procuratore generale e respingendo l’ordinanza di rigetto di acquisizione di prova sopravvenuta. Ovvero il pentimento dell’ex boss di Crotone, Pino Vrenna, capo della principale cosca oggetto del processo, avvenuto sul finire del 2010.

L’inchiesta portò a due maxioperazioni, Herakles, dell’aprile 2008, e Perseus, del novembre dello stesso anno: le retate scattarono per due omicidi maturati nel microcosmo della droga, traffici di stupefacenti e armi, numerose estorsioni a imprenditori e commercianti. Folta la pattuglia difensiva, composta dagli avvocati Sergio Rotundo, Aldo Truncè, Francesco Laratta, Fabrizio Salviati, Paolo Carnuccio, Mario Lucente, Luigi Falcone, Leo Sulla, Enzo Ioppoli, Enzo Vrenna, Giuseppe Spinelli, Gregorio Viscomi, Mario Prato, Salvatore Staiano, Giuseppe Gallo.

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