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Antonella Lettieri, la donna uccisa l'8 marzo 2017

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CIRO’ MARINA (CROTONE) – La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna a 30 anni di reclusione con cui un anno fa la Corte d’assise d’appello di Catanzaro confermò la condanna per Salvatore Fuscaldo, il bracciante agricolo 51enne reo confesso dell’omicidio di Antonella Lettieri, la commessa 42enne massacrata in casa sua la sera dell’8 marzo 2017. Il processo dovrà essere rifatto dinanzi a una Corte d’assise d’appello bis ma soltanto in ordine all’aggravante della premeditazione e alla valutazione dell’ammissione di un teste escluso nel giudizio abbreviato. In primo grado, si ricorderà, l’uomo fu condannato a 30 anni su richiesta del sostituto procuratore di Crotone Alfredo Manca, che condusse anche l’indagine lampo. Il gup del Tribunale di Crotone dispose anche una provvisionale immediatamente esecutiva di 100mila euro ciascuno in favore delle sei sorelle della vittima che non fu appellata.

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La Corte d’assise d’appello allora presieduta da Marco Petrini, il giudice coinvolto nel giro di corruzione su cui indaga la Procura di Salerno, aveva bocciato l’istanza del difensore dell’imputato, l’avvocato Francesco Amodeo, che chiedeva la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sentendo un fratello di Fuscaldo e il noto criminologo Sergio Caruso. Stavolta la richiesta difensiva è stata accolta. Sia la Procura generale che l’avvocato di parte civile Mariano Salerno avevano chiesto la conferma della sentenza, mentre la difesa ha insistito nella richiesta di esclusione delle aggravanti della premeditazione e della crudeltà.

Riaffermata, dunque, la parte della sentenza sulla commissione dell’omicidio, che rispecchia sostanzialmente le risultanze dell’indagine su un caso che suscitò clamore. Un delitto efferato, come chiarito, del resto, dall’autopsia eseguita dal medico legale Isabella Aquila. Con un coltello, alla povera Antonella furono inflitte dodici ferite, con un tubo d’acciaio oltre 20 colpi, che la raggiunsero al capo. Over killing, dicono i criminologi. Determinazione estrema di nuocere. Fuscaldo, dopo aver sostenuto, in un primo momento, la sua estraneità ai fatti e, soprattutto, dopo che il Tribunale del Riesame di Catanzaro aveva confermato la misura cautelare in carcere, crollò e fece ritrovare ai carabinieri della Compagnia di Cirò Marina il tubo nella pineta di Punta Alice, avendo fornito indicazioni precise nel corso dell’interrogatorio in carcere del 20 aprile scorso; le ricerche del coltello furono sospese essendo risultati vani numerosi tentativi. Il movente? Fuscaldo lo avrebbe fatto perché, a suo dire, si sentiva ricattato dalla donna con cui lui, uomo sposato, aveva una relazione da sei, forse sette anni.

Ma da alcune testimonianze è emerso che l’imputato non avrebbe tollerato che Antonella si facesse un’altra vita, poiché frequentava un suo coetaneo. La confessione andò in scena nel carcere di Castrovillari. Gli investigatori avevano comunque individuato una serie di riscontri, tramite la prova del Dna, rispetto a una mole impressionante di indizi. Come le tracce del sangue di Antonella nell’auto Alfa “156” dell’uomo (che fecero scattare il fermo) e gli schizzi del sangue della vittima repertati su uno degli scarponi rinvenuti in campagna che, tramite l’esame del sudore, risultarono essere appartenuti a lui, ciò che confermerebbe la presenza dell’imputato sulla scena del crimine. Ma a tradire Fuscaldo fu anche il portachiavi con uno stemma dell’associazione nazionale Libera caccia, al quale era attaccata una sola chiave, quella che apriva l’ingresso principale dell’abitazione di Antonella. Quel portachiavi era sotto il corpo straziato della vittima; la stessa effige di Libera caccia è riprodotta sul parabrezza della “156” di Fuscaldo.

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